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Normativa

Un aspetto di particolare importanza è rappresentato dalla denominazione di vendita utilizzata per la commercializzazione dell’alimento. Per quanto riguarda il termine “Salsiccia” nel nostro Paese, da sempre, è riferito ad  un prodotto trasformato a base di carne suina, perlopiù insaccato in budello naturale e che, a differenza del “Salame”, può vedere impiegati nell’impasto condimenti, additivi conservanti (nitriti) e coloranti (es. la cocciniglia consentita anche in alcuni prodotti a base di carne, insaccati e cotti).

Generalmente viene consumata dopo un breve periodo di asciugatura che gli conferisce l’aspetto e le caratteristiche di un piccolo salame, spesso senza ricorrere alla cottura. La “salsiccia fresca”, invece, anche se in apparenza simile alla prima, è tuttavia differente per le caratteristiche intrinseche e inquadramento giuridico. La stessa denominazione “salsiccia fresca” solo di recente costituisce una tipologia specifica nell’ambito dei prodotti di salumeria (vedi circolare n. 2/1999) e il termine “fresco” nulla ha che vedere con il ridotto periodo di asciugatura antecedente al consumo. Quest’ultima rientra, infatti, nella categoria delle “preparazioni di carni” così come definita all’allegato I al Reg. Ce 853/2004, commercializzata sia come insaccato sfuso che preimballata spesso in atmosfera protettiva, e nella sua fabbricazione non sono ammessi additivi conservanti e coloranti, sebbene alcuni ingredienti vengono aggiunti per la loro azione secondaria sul colore (es. l’estratto di barbabietola) e l’unico trattamento di conservazione consentito è l’impiego delle basse temperature. Lo stesso Reg. UE 1169/2011, all’art. 2, indica tre possibili denominazioni e i relativi criteri per la successiva commercializzazione dell’alimento:

 

In assenza di denominazioni legali - il D.M. 21/09/05 e s.m.i. che disciplina la produzione e la vendita di taluni prodotti di salumeria non contempla tali tipologie di prodotti - e di quelle descrittive, le uniche denominazioni che possono essere utilizzate per la commercializzazione dei prodotti suesposti sono da considerare quelle usuali e, pertanto, si ritiene che debbano essere rispettate le condizioni e le istruzioni d’uso proprie, adottate nel corso degli anni per consuetudine. Da sempre nel nostro Paese il “Carpaccio” è un alimento che viene consumato crudo e informazioni divergenti dal credo comune potrebbero indurre in errore il consumatore (Reg. UE 1169/2011, art.7, par.1, lett.a).

Massimo Renato Micheli

Dirigente Veterinario SSN, Specialista in Diritto e Legislazione veterinaria