Stampa
Professione
L’intervista

A colloquio con il senatore Gilberto Pichetto Fratin, Viceministro dello Sviluppo Economico

L’argomento al centro dell’intervista è decisamente impegnativo e di stretta attualità: l’aumento esponenziale dei costi delle materie prime, l’enorme difficoltà di accedere a esse e l’incremento pesantissimo della bolletta energetica. Un mix davvero preoccupante che oggi è al centro delle preoccupazioni e degli incubi degli industriali italiani. 

L’aumento dei costi delle materie prime e le grosse difficoltà di reperimento rischiano di compromettere lo sviluppo economico e la ripresa post-pandemia?

In questa fase della vita economica e sociale italiana abbiamo di fronte due prospettive: la prima è quella di un sostanziale cambiamento a medio-lungo termine a livello tecnologico, perché la pandemia ha modificato profondamente il nostro stile di vita. Durante il lockdown, le imprese, le famiglie e ciascuno di noi ha compiuto un salto di qualità accelerando i tempi. Così un processo di transizione la cui durata era stata calcolata dagli analisti nell’arco di tre-cinque anni, prima di questo tragico evento, ha subito una brusca impennata, con inevitabili conseguenze. L’altra chiave di lettura della situazione che stiamo vivendo è quella di una congiuntura economica particolarmente difficile, in quanto il post-pandemia ci ha consegnato un mondo diverso, che non ha ancora raggiunto un sano equilibrio. Tutto ciò si ripercuote a livello economico globale con fenomeni complessi, come quello – appunto – dell’aumento spropositato del costo delle materie prime e dell’energia. Per l’Italia, questo, è un problema particolarmente serio perché – come ben sappiamo – il nostro è un Paese che non dispone di materie prime né di centrali nucleari. Paghiamo un prezzo salato per la mancata autonomia energetica, che grava pesantemente sul sistema produttivo, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. La preoccupazione, anche da parte del governo, è reale, perché il mix determinato dal simultaneo aumento del costo del gas e delle materie prime rischia di frenare la ripartenza in atto. Una ripresa – la nostra – che, come precisa la Nota di aggiornamento del Def, viaggia attualmente intorno al 6%. La linea di tendenza è comunque positiva e siamo fiduciosi che questo dato provvisorio possa essere superato. Però non siamo ancora in grado di stabilire se si tratti di una vera e propria ripresa economica, a tutti gli effetti, oppure semplicemente di un rimbalzo, dopo la pesante caduta dovuta alla pandemia. Al di là delle valutazioni del momento, resta un incontrovertibile dato di fatto: una congiuntura così complicata, come quella che stiamo vivendo, non è risolvibile dal governo di un singolo Stato, perché è internazionale e si ripercuote con effetto domino nei diversi Paesi delle economie avanzate.

Il nostro Paese non dispone né di risorse energetiche, né di materie prime, dunque siamo particolarmente vulnerabili. In concreto, quali provvedimenti ha assunto o intende prendere il governo per aiutare i produttori italiani ad affrontare questa delicata fase economica?

Le iniziative intraprese sono molteplici. Anzitutto, ci sono le azioni che il contratto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stipulato con l’UE ci impone di assumere, per poter beneficiare dei fondi messi a nostra disposizione attraverso le formule del prestito e della sovvenzione. È giusto, però, sottolineare che nello stesso accordo c’è un lungo elenco di riforme da realizzare, che siamo impegnati a mettere in atto per adeguare ai tempi e rendere più moderno il nostro Paese. Sono convinto che gli effetti di medio lungo periodo avranno conseguenze assai proficue sotto il duplice aspetto della qualità e della sicurezza degli investimenti. In particolare, potranno beneficiarne, con ricadute quasi immediate, le aziende che sapranno mettersi in gioco e rinnovarsi. Dall’altra parte, abbiamo pensato e messo in campo tutta una serie di interventi mirati e puntuali, di breve periodo, con l’obiettivo di sostenere sia le imprese che le famiglie italiane. Le aziende saranno aiutate tramite modifiche fiscali e con una serie di provvedimenti contenuti nella legge di Bilancio. Per sostenere le famiglie, invece, agiremo utilizzando i criteri dell’ISEE, Indicatore della Situazione Economica Equivalente.

Recentemente Luca Iazzolino, Presidente di Union Plast, Associazione delle aziende italiane di trasformazione, non ha escluso fermi impianto per carenza di materie prime: c’è da temere il peggio?

Certamente il disagio è notevole e investe trasversalmente tutte le imprese. Colpisce maggiormente quelle energivore, perché gli effetti dell’aumento del prezzo del gas e di alcune materie prime sono decisamente pesanti. Io, comunque, sono ottimista di natura e voglio credere che non si arrivi alla situazione paventata come estrema ratio dal presidente di Union Plast. Il Ministero dello Sviluppo Economico sta monitorando su diversi tavoli questa nuclear power in Germany Gundremmingenproblematica situazione, per un’azione sempre più puntuale di sostegno alle imprese sul mercato. La questione che investe il settore plastico è certamente emblematica e costituisce uno degli esempi della complessità del momento: investe infatti sia il campo della chimica che quello della produzione energetica. Per affrontare efficacemente il problema vi è la necessità di intervenire su più fronti: dal cracking per arrivare al polipropilene, al polietilene, e quindi, al prodotto finito. Aggiungo un’ulteriore riflessione: dobbiamo tenere ben presente anche la questione delle normative UE che vanno a incidere notevolmente sulle scelte presenti e future. Ricordo in particolare la Direttiva volta a prevenire e ridurre l’impatto sull’ambiente di determinati prodotti in plastica e a promuovere una graduale transizione verso l’economia circolare, introducendo un insieme di misure specifiche per i prodotti disciplinati dalla stessa, compreso il divieto sulle produzioni in plastica monouso ogni qualvolta siano disponibili alternative. Senza dimenticare quella che dal 2035 vieterà la produzione dei motori endotermici sulle auto: qualcuno potrebbe pensare che, in fondo, mancano ancora quattordici anni alla scadenza, ma in realtà quella data è dietro l’angolo. Le grandi imprese, a dire il vero, si stanno già attrezzando, ma le ripercussioni sull’intero produttivo italiano saranno molteplici, tutte assai importanti. Le conseguenze dell’impatto sulle piccole imprese produttrici di queste Direttive potrebbero essere devastanti. Pertanto sarà doveroso, da parte del governo, fare tutto il possibile per accompagnare le aziende virtuose lungo questo insidioso percorso, aiutandole a rinnovarsi e formare il personale. Per tante altre, invece – uso un termine brutale – credo proprio che dovranno cambiare mestiere.

Come vede, le possibilità di sviluppo dell’industria italiana alla luce delle prospettive delineate dal PNRR? La transizione ecologica potrebbe costare alle aziende in termini di occupazione? 

L’Italia è un Paese che ha più volte dimostrato la straordinaria capacità di reazione del suo tessuto produttivo, una dote che forse non ha eguali al mondo. Purtroppo, siamo anche consapevoli che la struttura delle PMI è fragile e fa fatica a rapportarsi con il mercato globale, proprio perché costituita da una fitta rete di microimprese. Senza contare, inoltre, che anche le aziende più grandi – considerate da noi di livello superiore – sono giudicate in ambito europeo di fascia intermedia. Vorrei ricordare comunque, che possiamo contare sempre su alcuni esclusivi punti di forza: nel settore manifatturiero, nella produzione di macchinari e nell’industria farmaceutica siamo ancora saldamente al vertice in Europa. Nel comparto della plastica e del packaging vantiamo una leadership preziosa, che deve spingerci a guardare avanti con fiducia. In sostanza, disponiamo di tutta una serie di anticorpi in grado di dare positivi impulsi, ma sappiamo bene che, affinché le imprese siano in grado di reagire alla crisi, diventando ancor più competitive, dobbiamo aiutarle a diventare maggiormente tecnologizzate. Perciò il Governo varerà un pacchetto di misure ad hoc che, dopo il successo del Piano Industria 4.0, preveda stimoli concreti per aiutare al massimo le aziende italiane, entro i limiti di Bilancio. Gli incentivi dovranno riguardare sia la parte hard, relativa alla strumentazione tecnologica, che quella del capitale umano, per creare un’adeguata crescita culturale e professionale. La sfida che abbiamo davanti non prevede che le imprese acquistino solamente materiali e li lavorino per offrire prodotti finiti; investe infatti il personale, che dovrà essere sempre più scolarizzato, istruito e preparato ad affrontare con efficienza e flessibilità il mondo del lavoro. Il governo pensa a un Paese sempre più digitalizzato: non a caso la prima missione del PNRR si riferisce proprio alla digitalizzazione, perché l’Italia ha molto terreno da recuperare su questo fronte, trovandosi solo al venticinquesimo posto nella classifica mondiale dei Paesi più digitalizzati.

Quindi l’imperativo categorico per i nostri industriali è la fiducia, all’insegna di un cauto ottimismo, nella certezza che l’economia italiana è ancora forte e solida nel contesto europeo e internazionale?

Sì, fiducia e piedi per terra. Non è più il momento di fare dei proclami, di pensare solo a vendere prodotti o di avere un approccio commerciale. Ogni categoria, branca di amministrazione, corpo intermedio deve cogliere l’importanza del cambiamento, del grande sforzo richiesto agli italiani, a tutti i livelli. Il governo Draghi è nato non solo per sconfiggere la pandemia ed evitare l’acuirsi della crisi economica e sociale, ma soprattutto per rilanciare e traghettare il Paese nella direzione dell’innovazione tecnologico-digitale e della sostenibilità ambientale. Ci sono sul tappeto una serie di delicate e vitali riforme da attuare, liberando il Paese dalle incrostazioni dell’inefficienza e della burocrazia accumulate nel tempo. L’Italia deve dotarsi al più presto di strutture essenziali, come l’ultra Banda larga, il 5G. Solo così potremo far parte del gruppo di testa delle economie più avanzate al mondo, altrimenti saremo rilegati a restare un Paese di seconda fascia, con 60 milioni di consumatori.