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Con Michele Cason, presidente di AssoBirra, l’Associazione dei Birrai e dei Maltatori che dal 1907 riunisce le principali aziende che di produzione e commercializzazione di birra e malto in Italia, abbiamo parlato degli effetti della pandemia sul mercato nazionale e dei motivi che hanno portato in anni recenti l’affermazione del prodotto nel nostro paese.

 

Quali sono i temi dello scenario attuale e come ha influito la crisi epidemiologica?

Il mercato della birra in Italia, a seguito del coronavirus, ha subito un vero e proprio tracollo. Il canale Ho.Re.Ca. on-trade (330.000 punti vendita in Italia tra pub, bar, ristoranti e pizzerie) che vende, in termini volumetrici, il 36% del totale, si è completamente fermato fino alle riaperture avvenute lo scorso 18 maggio. Questo ha inciso pesantemente sui volumi e sui fatturati soprattutto per i micro birrifici che in passato hanno prevalentemente venduto attraverso questo canale. Il canale off-trade (supermercati di varie dimensioni e tipologia), preso d’assalto per l’effetto-scorta, non è stato in grado di compensare le mancate vendite dell’Ho.Re.Ca.

Quanti riusciranno a sopravvivere nel protrarsi di una situazione economica estremamente critica?

Se non dovessero essere applicate soluzioni strutturali, il coronavirus rischia di provocare la chiusura di 2 micro birrifici su 10 e questo sarebbe per il comparto della birra una enorme perdita. Negli ultimi anni i micro birrifici sono stati capaci di “raccontare” la birra attraverso stili, molti dei quali desueti, materie prime ricercate, spesso innovative e capaci di valorizzare le produzioni agricole del territorio, attraverso storie di persone con una grande passione per il prodotto. Persone divenute poi imprenditori capaci di trasmettere tutte queste emozioni attraverso la loro birra: oggi la cultura della birra in Italia è tutto questo e perdere anche un solo mastro birrario sarebbe una grave privazione per tutti.

In cosa è consistita l'innovazione tecnologica che ha favorito la crescita del mercato?

Sicuramente una sempre maggiore conoscenza del processo di produzione della birra - e quindi si parla di formazione - ma anche di tutti quegli ausili che danno informazioni al mastro birraio sull’andamento dei processi. La produzione della birra è un processo molto semplice: pochi ingredienti e un processo assolutamente naturale ovvero la fermentazione operata dal lievito di birra. Dietro questo però c’è una complessità enorme fatta di equilibri delle ricette, di materie prime caratterizzanti, di temperature di ammostamento e di fermentazione, di ceppi di lievito particolari che, partendo da pochi ingredienti, danno la varietà di birre che oggi apprezziamo. Il processo negli ultimi 7-8 secoli non è cambiato, sono cambiate le conoscenze e il controllo dei processi, sempre più affinato, che insieme permettono di arrivare esattamente alla birra che il mastro birraio desidera creare e la capacità poi di riprodurla in modo che il consumatore possa ritrovare l’emozione ogni volta che la beve.

Parliamo di filiera agricola: dove deve migliorare, quali obiettivi vi proponete?

La filiera agricola per un prodotto che nasce dalla terra come la birra è fondamentale. Non parliamo solo di sicurezza di approvvigionamento e garanzia di qualità ma anche e soprattutto di capacità di fare sistema per accrescere il valore aggiunto della filiera stessa: attraverso la valorizzazione dei territori, delle tradizioni agricole e la peculiarità che ogni territorio è in grado di esprimere, si può valorizzare anche il prodotto. Oggi in Italia abbiamo delle eccellenze capaci, partendo proprio dai territori, nazionali e non, di raccontare una storia attraverso un prodotto che in sé racchiude molto di più. Essere parte di una filiera oggi è fondamentale perché ogni imprenditore deve indirizzare in maniera attenta e consapevole le proprie risorse e lavorando sempre più insieme, capendo reciprocamente potenzialità e difficoltà, esigenze ed aspettative, si può costruire al contempo un valore.