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La vicenda ha visto contrapposti il Consorzio per la tutela del Formaggio Pecorino Romano DOP nei confronti di un operatore titolare del marchio cacio romano, per ritenuta violazione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino romano” e del marchio collettivo geografico “Pecorino romano” registrato dal Consorzio.

Con l’ordinanza n. 7937 del 20 marzo 2023 la Cassazione ha posto fine alla diatriba sulla legittimità dell’impiego del marchio “cacio Romano” escludendo il rischio di confusione con il Pecorino Romano DOP. Il giudice di appello ha escluso l’applicabilità della normativa comunitaria che disciplina la DOP sul rilievo che l’appellante aveva continuativamente utilizzato il marchio “cacio romano” sin dal 1991, epoca anteriore rispetto al riconoscimento della denominazione di origine protetta del 1996 da parte della Commissione Europea. Il marchio cacio romano sarebbe inoltre stato utilizzato in modo conforme ai principi di correttezza professionale anche in relazione alla radicale diversità dei prodotti contraddistinti di tali segni e dall’assenza di similitudine fonetica e logica delle due denominazioni.

La decisione

La Cassazione ha ritenuto inammissibili i motivi relativi alla diversità dei prodotti.
La stessa afferma che la situazione di conflitto tra i due segni (DOP e marchio), contemplata dall’art. 14 par. 1 Reg. CE 510/06 presuppone che gli stessi abbiano ad oggetto lo stesso tipo di prodotto, presupposto in difetto del quale il titolare della DOP non può invocare la tutela apprestata dal citato regolamento. Ad avviso del Consorzio, posto che il Pecorino Romano e il cacio romano invece sarebbero formaggi almeno parzialmente sovrapponibili, in ogni caso, la similitudine dei due prodotti avrebbe dovuto comunque essere valutata, sotto il profilo giuridico, esclusivamente sulla base dell’appartenenza dei medesimi a una determinata categoria merceologica (in questo caso comune) secondo la classificazione di Nizza.

La Cassazione non ha condiviso questa impostazione. Per accertare, infatti, se ci si trova in presenza dello stesso prodotto o di prodotti affini o similari, il riferimento alle classi merceologiche di cui alla tabella di Nizza è senz'altro pertinente allorquando i segni in conflitto siano entrambi dei marchi, non lo è, invece, quando la comparazione debba effettuarsi tra una denominazione di origine protetta (DOP) e un marchio. Per individuare l’ambito di tutela della DOP è quindi essenziale esaminare la descrizione del prodotto e il metodo di lavorazione dello stesso sia nel disciplinare che nella domanda di registrazione, i quali rappresentano, all’evidenza, un indice di natura oggettiva per effettuare l'indagine relativa all'affinità, similarità dei prodotti. Significativo, in particolare, è il riferimento nella descrizione del prodotto alle sue caratteristiche organolettiche, che non sono altro che le qualità del prodotto percepibili attraverso uno o più organi di senso: colore, forma, aroma, sapore, consistenza, etc. che rientrano senz’altro tra i caratteri organolettici più importanti da verificare.

Secondo la Cassazione: “Non vi è dubbio, pertanto, che se vi è contestazione in causa in ordine alle caratteristiche (soprattutto organolettiche) di un prodotto ed occorra stabilire se i prodotti contraddistinti dai segni in conflitto siano, o meno, dello stesso tipo o comunque affini, il titolare della DOP è onerato di dimostrarle alla luce del ‘disciplinare’ e, quindi, della ‘domanda di registrazione’ della DOP”.
Il Pecorino Romano, come affermato nel secondo grado di giudizio, sarebbe un formaggio aromatico e piccante, stagionato (a pasta dura o cotta), impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, prodotto con latte di pecora, mente il cacio romano come formaggio dolce, semistagionato, che richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino (riconducibile quindi alla mucca) che non sarebbe grattugiabile e quindi verrebbe impiegato solo come formaggio da tavola.
Il Consorzio ricorrente ha insistito, invece, sul fatto che non è vero, in termini assoluti, che il Pecorino Romano sia solo un formaggio aromatico e piccante, a pasta dura, impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, mentre il cacio romano sia un formaggio dolce, semistagionato, che non si può grattugiare ed è quindi impiegato solo come formaggio da tavola, essendoci quantomeno una “sovrapponibilità almeno parziale” dei due formaggi contraddistinti dai segni in contesa.

cacio shutterstock 1742968892Il Collegio ha precisato che: “La ricorrente, per fruire della tutela giuridica apprestata alla sua appartenenza ad una DOP registrata, avrebbe dovuto provare [...] le caratteristiche organolettiche del Pecorino Romano che aveva documentalmente descritto nel ‘disciplinare’ con una ‘registrazione’ della DOP anteriore alla registrazione del marchio in conflitto, e, conseguentemente, dimostrare di aver chiesto la tutela con la DOP del ‘Pecorino Romano’ anche nella diversa consistenza semistagionata (oltre che stagionata con pasta dura o cotta), e con il diverso sapore dolce (oltre che aromatico e piccante)”. La Corte di Cassazione, nella propria motivazione ha richiamato diverse sentenze della Corte di Giustizia che ha sempre posto in comparazione segni che contraddistinguevano i formaggi aventi caratteristiche similari, in quanto aventi, a seconda, la stessa consistenza, la stessa stagionatura, lo stesso metodo di lavorazione, etc., e non un qualunque tipo di formaggio purchessia, solo perché appartenente alla stessa classe merceologica.

In particolare vengono richiamate le seguenti sentenze:

Sul rischio di confusione

La Cassazione condivide inoltre la decisione della Corte d’Appello che, nel verificare la conformità dell’uso del marchio cacio romano ai principi della correttezza professionale, ha accertato l’assenza di alcun rischio confusorio e di agganciamento parassitario tra il marchio collettivo Pecorino romano e il marchio individuale cacio romano. Sarebbe inoltre stata messa in luce l’assenza di similitudine fonetica (idonea a escludere, soprattutto per un consumatore non italiano, ogni intento ed effetto decettivo) e logica tra la parola Pecorino e Cacio. Tali due parole costituiscono il cuore dei rispettivi marchi con la conseguenza che il termine “Romano” sarebbe verosimilmente una mera indicazione di provenienza e priva di carattere distintivo.

Conclusioni

La sentenza si pone nel solco della dibattuta questione dei rapporti fra marchi e denominazioni di origine tutelate, nonché sul tema della genericità e del rischio di confusione. Talvolta si registrano tuttavia, a livello nazionale, decisioni in contrasto tra loro e basate su presupposti e approfondimenti molto diversificati tra loro. Il che non consente all’operatore di avere sempre un quadro certo sotto il profilo giuridico, laddove vi siano situazioni di potenziale conflitto.

Avv. Chiara Marinuzzi 
Studio Legale Gaetano Forte