Possono contaminare diverse tipologie di matrici alimentari e comprendono un’ampia varietà di composti chimici ottenuti principalmente dalla distillazione e raffinazione del petrolio. Sono gli idrocarburi degli oli minerali (MOH), ampio gruppo di sostanze che possono differenziarsi in termini di caratteristiche chimiche e tossicità.
I due gruppi principali sono i MOSH (idrocarburi saturi di oli minerali, per lo più paraffine e nafteni) e i MOAH (idrocarburi aromatici di oli minerali, tra cui idrocarburi aromatici non-alchilati, idrocarburi aromatici alchilati e differenti anelli fusi (3-7 anelli ciclici) più del 98%). I primi si si trovano fino all’80% nel petrolio greggio, i secondi fino al 30%.
Sono una frazione chimica che si ottiene in seguito alla raffinazione del petrolio; i prodotti finiti sono paraffine, cere microcristalline, cere paraffiniche o oli minerali bianchi. Sono fra i componenti di oli lubrificanti per gli ingranaggi delle macchine industriali o delle macchine di produzione agricola, degli inchiostri da stampa ma anche dei cosmetici. Venendo all’alimentare si ritrovano anche in agenti distaccanti, coadiuvanti tecnologici, additivi alimentari o mangimi, pesticidi e nei materiali a contatto con gli alimenti (MOCA), probabilmente per gli alimenti la fonte di maggior criticità.
Le attività umane, a partire da quelle estrattive fino a quelle di trasformazione in prodotti finiti, sono la causa della contaminazione dell’ambiente e quindi della filiera alimentare. Per questo MOSH e MOAH sono sotto indagine da diversi anni per l’impatto potenziale sulla salute umana, che tuttavia può essere molto variabile, riporta EFSA.
I MOAH, infatti, possono agire come cancerogeni genotossici, mentre è risaputo che alcuni MOSH si accumulano nel fegato e nel sistema linfoide. Ci si è presto resi conto della necessità di raccogliere dati che ne tracciassero la diffusione – nelle filiere, nelle materie e negli alimenti – e il livello di contaminazione, per poter quindi valutare il grado di esposizione della popolazione. Dati necessari per riuscire a definire limiti ufficiali dei residui e metodi analitici di quantificazione validati e condivisi, che oggi invece mancano (o non sono ancora sufficienti). Però il quadro legislativo è in evoluzione e promette un cambio di passo a breve. Se ne è parlato presso l’Accademia dei Georgofili lo scorso giugno, in una giornata di studio dedicata agli aspetti tecnico-analitici, alle evoluzioni normative e alla possibilità di sostituire gli oli minerali in parte delle applicazioni con bio-lubrificanti (“Filiera agro-alimentare e oli minerali”, 28 giugno 2023), in ottica di minor impatto ambientale.
Contaminazioni della filiera alimentare
Da anni i MOH sono al centro dell’attenzione delle autorità di controllo per capire non solo gli aspetti tossicologici, ma anche l’entità della contaminazione nella filiera. Gli oli minerali sono, infatti, un pericolo per la salute: entrano nell’organismo con la dieta e possono accumularsi in diversi organi e depositi di grasso nel corpo umano o venire metabolizzati generando composti ad attività cancerogena. A fronte di un mercato mondiale annuo di circa 40.000.000 di tonnellate di prodotto, si può stimare che circa 10.000.000 tonnellate/anno vengono disperse nell’ambiente (con una quantità di oli che non si riescono a recuperare e/o riciclare che a livello europeo va dal 25% al 35%), come ha ricordato Paolo Bondioli, della Società Italiana Studio Sostanze Grasse e accademico dei Georgofili. I lubrificanti e i fluidi idraulici per le macchine di produzione sono dunque una fonte rilevante. Normalmente l’industria alimentare utilizza oli minerali bianchi (food grade <1% MOAH) idonei al contatto diretto con l’alimento oppure di “grado tecnico” idoneo per il contatto diretto (con circa 50% MOAH), ma si è visto che i MOH possono residuare negli alimenti anche per l’uso di sostanze e materiali che entrano nel lungo ciclo di produzione dal campo alla tavola. La migrazione da materiali a contatto con gli alimenti soprattutto se riciclati (per via degli inchiostri) è probabilmente una delle principali cause di contaminazione, ha ricordato Liliana Folegatti, di Innovhub-Stazioni Sperimentali Industria.
Già nei primi Anni ’90 alcuni ricercatori avevano evidenziato la presenza di contaminanti di natura idrocarburica riconducibili all’eterogenea categoria degli “oli minerali” (MOH) negli alimenti; lo sviluppo di tecniche analitiche, successivamente, ha portato alla messa a punto di metodi analitici basati su tecniche cromatografiche accoppiate per l’identificazione e dosaggio dei MOH: la ISO 11780:2015 (Grassi e oli animali e vegetali - Determinazione degli idrocarburi alifatici negli oli vegetali) e poi soprattutto la UNI EN 16995:2017 (Prodotti alimentari - Oli vegetali e prodotti alimentari a base di oli vegetali - Determinazione di idrocarburi saturi (MOSH) e idrocarburi aromatici (MOAH), derivanti da olio minerale) che prevede un sistema online HPLC-GC per il frazionamento delle frazioni MOSH e MOAH accoppiato alla tecnica GC×GC-MS/FID quale metodologia di conferma; metodo quest’ultimo che è però valido – sottolinea Folegatti – per concentrazione di MOSH e MOAH superiori a 10 mg/kg.
Proprio dai campioni analizzati con il metodo della EN ISO 16995 in molti prodotti alimentari in Europa sono state rilevate contaminazioni non intenzionali di MOH attraverso la catena alimentare e il ciclo di vita dei MOCA: dai dadi da brodo, alle creme spalmabili, riso, pasta, cioccolato e oli vegetali commestibili, mangimi e alimenti per lattanti.
Lanfranco Conte, Presidente della Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse, nel suo intervento ha mostrato i dati di contaminazione nella filiera dell’olio di oliva e dell’olio di vinaccioli (Menegoz et al. 2023. Food Chemistry, 406, 135032) sottolineando l’entità e dunque l’impatto della contaminazione dalle operazioni di raccolta meccanica, quale fase cruciale del processo; ma ha anche evidenziato quanto il settore dei MOCA contribuisca alla contaminazione per migrazione di queste sostanze dal packaging di carta e cartone riciclati per i quali i film barriera non sempre riescono a essere efficaci. Senza fare allarmismi, sottolinea Conte, è tuttavia importante indagare quanto il materiale di confezionamento, ma anche gli inchiostri contribuiscono alla contaminazione, contestualizzando anche rispetto al prodotto (che può a sua volta essere contaminato dalle operazioni di processo prima del confezionamento, come ad esempio si è visto in alcuni campioni di polvere di cacao (Srbinovska et al, 2022. Food Chem, 396, 133686).
Di fatto, ha concluso Folegatti elencando le principali criticità a livello tecnico-analitico, rimane la necessità di avere un metodo validato con specificità e riproducibilità soddisfacenti; che abbatta l’incertezza per basse concentrazioni di MOAH, anche in funzione della complessità della matrice; sono inoltre necessari nuovi standard di oli minerali e di alimenti contaminati di riferimento e certificati a diverso livello di concentrazione.
Il quadro legislativo
L’attenzione su questi composti da parte delle Autorità è sempre stata elevata; lo era già quando la rivista foodwatch in seguito a un’indagine pubblicata nel dicembre 2021 aveva riscontrato contaminazioni in alcuni prodotti alimentari in commercio e aveva segnalato la situazione direttamente alla Commissione. Da un punto di vista normativo si sono susseguiti negli anni una serie di interventi delle autorità europee: raccomandazioni, pareri, linee guida. Importante fu il primo parere di EFSA del 2012 in cui venne scritto che alcuni MOSH si accumulano nel fegato e nel sistema linfoide e che i MOAH possono essere cancerogeni e genotossici. I dati allora disponibili non permisero di quantificare i rischi posti dai MOAH presenti in prodotti alimentari, né di ricavare un limite di sicurezza, ma fu l’occasione per sancirne la pericolosità e auspicare l’avvio di una fase di raccolta di informazioni.
In mancanza di un regolamento a livello europeo che fissi limiti di presenza di MOSH e MOHA, alcuni paesi come Germania e Belgio hanno cominciato a dare indicazioni nazionali. Nel 2019, dopo il rinvenimento di MOAH in alcuni lotti di alimenti per lattanti e di latti di proseguimento in Francia, Germania e Paesi Bassi, l’EFSA ha pubblicato una valutazione rapida dei possibili rischi per la salute pubblica. La categoria più esposta a rischi per la salute risultò essere proprio quella di lattanti e bambini piccoli per i contenuti di MOAH negli alimenti cardine della loro dieta. Successivamente, nel 2022, il Comitato Permanente per la Sicurezza Alimentare della Commissione Europea (Scopaff) ha riportato i limiti massimi per i MOAH per differenti prodotti alimentari (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed Section Novel Food and Toxicological Safety of the Food Chain 21 April 2022); il documento non è un regolamento né una direttiva, ma rappresenta un atto formale (statement) tra esperti rappresentanti di Stati Membri, che poggia sui principi del Reg. 178/02 sulla tutela della salute umana e che ha dunque forza di legge (soft law), ricorda Igor Calderari dell’Associazione Italiana Industria Olearia. Nel corso del 2023 una valutazione aggiornata sul rischio di tossicità, basata sul margine di esposizione, ha definito non più preoccupante l’esposizione alimentare ai MOSH per tutte le classi di età, mentre ha confermato la genotossicità e la cancerogenicità associata a MOAH con 3 o più anelli aromatici. La prossima attesa scadenza sarà la pubblicazione di un Parere scientifico definitivo di EFSA sulla valutazione dei rischi da MOH negli alimenti (sulla base degli esiti di una consultazione pubblica che l’Autorità ha indetto nel marzo 2023) che dovrebbe consentire un’analisi della esposizione potenziale; un dato necessario affinché si possano definire limiti specifici di MOAH per le varie tipologie di prodotto alimentare da pubblicare in un Regolamento europeo di riferimento.
Il futuro
La necessità di costruire un settore produttivo sostenibile ha spinto la ricerca verso la messa a punto di molecole che potessero sostituire lubrificanti derivati del petrolio. Secondo Bondioli, i bio-lubrificanti potrebbero, almeno in parte, soddisfare questa esigenza. Nel corso degli ultimi venti anni si sono infatti create le condizioni per introdurre i bio-lubrificanti, fluidi alternativi sostenibili costituiti da molecole di acidi grassi, legati mediante un legame estere a un sostituente alcolico o polialcolico. Le caratteristiche principali sono tre: la biodegradabilità, la versatilità e la rinnovabilità. Possono essere oli nativi o prodotti più sofisticati, che consentono di coprire tutti i campi di applicazione preclusi agli oli nativi stessi, per caratteristiche di viscosità o di stabilità termica, idrolitica o ossidativa. Ad oggi, spiega Bondioli, non è però ancora possibile sostituire tutti i lubrificanti con le alternative più sostenibili, per questioni di disponibilità e di idoneità all’impiego. Ma è senz’altro possibile farlo nelle applicazioni dove maggiore è il rischio di dispersione anche accidentale nell’ambiente o per la sicurezza dei lavoratori, diminuendo così l’impatto e i rischi di contaminazione (anche) della filiera alimentare.
Francesca De Vecchi
Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica