Quando si parla della domanda del mercato, spesso scatta inesorabile la trappola dei nuovi prodotti multifunzionali. I funzionari della ricerca e sviluppo, adombrando la potenzialità del brevetto internazionale, si assicurano la scrivania almeno per la durata del progetto.
I dirigenti del piano superiore hanno quattro/cinque diapositive da condividere durante le riunioni ai piani alti. I membri del Board hanno un programma futuribile da mostrare agli azionisti. In breve, tutto “l’ambaradan” gira. Ma tutti sanno che il tempo di realizzazione di un prodotto nuovo è solo una frazione del tempo totale necessario affinché diventi oggetto di acquisti abitudinari. Proprio per questo motivo parlo di trappola!
Spesso si dice che il mercato alimentare sia meno rapido di quello digitale o della telecomunicazione, nei quali in poco tempo sono stati acquistati e utilizzati miliardi di elaboratori e telefonini. L’affermazione è vera solo in parte, perché se contiamo gli anni da quando il matematico, crittografo e filosofo Alan Turing iniziò a decifrare “Enigma”, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. È pacifico, invece, che la prole impara “alimentazione e religione” sulle gambe della madre e da adulto cambierà approccio alimentare solo per estrema necessità. E anche se dovesse cambiare dieta, la cucina della madre e della nonna resterà sempre la migliore.
Ma tornando alla multifunzionalità alimentare, e non volendo mentire a noi stessi, possiamo ammettere che la maggior parte dei nuovi prodotti introdotti con successo nel mercato erano rispettosi della cultura alimentare esistente e facilitavano la loro fruibilità. In molti casi, offrivano miglioramenti sotto il profilo del confezionamento, della serbevolezza o delle qualità sensoriali.
Quindi, è molto bello parlare di multifunzionalità, ma sarebbe molto più pratico parlare di cultura alimentare.
Perché lo stile di vita, lo stile alimentare è un tema culturale. E lo si vede benissimo dai maltrattamenti che vengono riservati a certe bottiglie di vino e a certi piatti. A volte vien da piangere. Perché un conto è avere i soldi per comprare vino e companatico, un altro è avere la cultura di preparare, di servire e di apprezzare la buona tavola. E prima o poi i prodotti della filiera agroalimentare finiscono in tavola. Ma a tavola ci vuole cultura, o no?
Vincenzo Bozzetti