L’auspicio è per una corretta comunicazione scientifica che metta in evidenza i rischi connessi ad un consumo inappropriato ma valorizzi adeguatamente le proprietà positive di questo alimento il cui consumo equilibrato porta benefici alla salute. L’impatto ambientale degli allevamenti bovini italiani è virtuoso e contribuisce all’incremento delle fonti energetiche rinnovabili.
Oggi la produzione di carne, in particolare quella bovina, è messa in discussione da numerose e incontrollate fake news che l’Accademia Nazionale di Agricoltura vuole sfatare puntando ad una informazione che orienti i consumatori verso stili di vita equilibrati ed abitudini alimentari sane, senza cadere in immotivate paure. Fa parte di questa strategia l’organizzazione recente del convegno “Carni rosse: economia, salute e società. Una riflessione”, organizzato dall’Accademia a Palazzo della Valle, sede di Confagricoltura a Roma.
Durante il convegno è stato segnalato come, a livello scientifico, nessuna patologia sia associata unicamente al consumo di carne rossa; l’aumento del rischio di comparsa di patologie riferibili alla carne rossa dipende, sia dalla quantità e frequenza del suo consumo, che da variabili indipendenti riferibili al singolo consumatore. I dati disponibili, nel loro complesso, suggeriscono in realtà che il consumo di carne rossa, se mantenuto entro i limiti di una corretta alimentazione seguendo i suggerimenti delle attuali linee guida nazionali italiane, non si associa ad alcun significativo rischio di patologia e possa invece contribuire favorevolmente all’apporto di alcuni componenti rilevanti del pattern alimentare complessivo.
Passando al comparto zootecnico e agli aspetti ambientali, per quanto riguarda l’Italia (dati ISPRA), le emissioni riferite a tutta la zootecnia sono al 5,9%, di cui solo il 3,5% è rappresentato dalle carni (esclusi latte e uova), contro il 14,5% su scala mondiale (dati FAO). In Italia, allo stesso modo, si utilizza per la produzione di carne il 25% d’acqua in meno rispetto alla media mondiale, con un notevole impatto positivo per l’ambiente. A livello complessivo, dunque, l’intero settore delle carni italiano (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che sono restituite all’ambiente come l’acqua piovana, mentre solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene effettivamente consumata. Infine, queste filiere forniscono indirettamente un contributo alla fertilizzazione azotata dei campi oltre che al recupero dei residui carboniosi dei reflui sotto forma di fonti di energetiche rinnovabili (biogas e biometano).
I pareri tecnici
“Gli impatti della carne bovina sono in linea con quelli degli altri prodotti animali e vegetale; oltre il 90% degli alimenti inseriti nel ciclo produttivo – ha spiegato il Prof. Giuseppe Pulina Ordinario di Zootecnia Speciale Università di Sassari - del bovino da carne non sono utilizzabili dall’uomo per cui la filiera mostra una efficienza da 0,6 a 1,0 nella valorizzazione delle sostanze azotate vegetali in proteine nobili animali; i 2/3 dei terreni agricoli sono dedicati al pascolamento in quanto non utilizzabili per colture arative. Esistono ampi margini per ridurre le emissioni degli allevamenti e aumentare i sequestri di carbonio delle superfici a pascolo, che secondo i dati FAO ammonterebbero da 1,7 a 3,4 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, e per portare i sistemi produttivi della carne bovina verso il traguardo net zero fissato dagli accordi COP26 di Glasgow. L’emergere di nuove metriche per la corretta valutazione del potere termizzante dei gas climalteranti, a lunga e breve emivita in atmosfera, comporta una completa revisione degli impatti ad oggi stimati con l’impiego di valori in CO2 che non tengono conto della differenza fra stock, da impiegare per i primi, e flusso da utilizzare per i secondi. L’applicazione dei modelli GWP (Global Warming Potential) che esprime il valore termizzante in CO2 alle filiere dei bovini da carne dimostra che, se le emissioni di questo gas restano costanti o si riducono, esse non incidono sul riscaldamento globale, nel primo caso, oppure contribuiscono al raffreddamento dell’atmosfera, nel secondo”.
“La carne rossa, a lungo demonizzata come nociva per la salute dell’uomo, è in realtà un alimento che, consumato con moderazione nell’ambito della Dieta Mediterranea, apporta all’alimentazione umana proteine di alto valore biologico, e micronutrienti importanti per la salute quali il ferro, per il 40% nella forma maggiormente biodisponibile per l’organismo, e la Vitamina B12, di cui può arrivare a coprire sino al 100% del fabbisogno giornaliero. Apporta - ha segnalato la Prof. Silvana Hrelia Ordinaria di Biochimica Università di Bologna - significative quantità di aminoacidi ramificati, fondamentali per la crescita e il mantenimento della massa muscolare, al punto che 100 g di carne bovina ricoprono oltre il 50% del fabbisogno giornaliero. È una preziosa fonte di molecole bioattive quali carnitina, carnosina, Coenzima Q, acido lipoico e creatina, che svolgono importanti funzioni regolatorie nel metabolismo, nonché di peptidi bioattivi, liberati durante la digestione gastrica, con azioni multifunzionali tra cui quella anti-ipertensiva e anti-infiammatoria”.
“Studi di carattere epidemiologico, condotti in vari Paesi del mondo, associano il consumo alimentare di quantità elevate di carne rossa ad un aumento del rischio di sviluppare alcune patologie, come alcune malattie cardiovascolari ed alcuni tumori. Questi studi hanno portato a chiavi lettura semplificate, che spesso etichettano la carne rossa come intrinsecamente pericolosa. In realtà – ha sottolineato il Prof. Andrea Poli, Presidente di NFI - Nutrition Foundation of Italy - è importante ricordare prima di tutto che da questi studi emergono per definizione solamente associazioni, e non relazioni di natura causale; inoltre gli effetti non favorevoli si osservano in genere solamente in una parte ridotta della popolazione (spesso il 10-20% con maggiori consumi). Questi effetti sono inoltre di ampiezza ridotta o molto ridotta, e potrebbero anche essere dovuti, almeno in parte, non tanto alla carne in sé ma alle sue tecniche di cottura (per esempio a grigliature troppo spinte che portano alla carbonizzazione di parte del tessuto organico), che potrebbero essere facilmente modificate”.