Senza dubbio la rintracciabilità applicata alla ristorazione commerciale è un tema di cui gli addetti ai lavori hanno ampiamente discusso negli anni. Tuttavia, ai consulenti del settore capita ancora oggi di ricevere richieste da parte di clienti che nutrono delle perplessità sulla corretta applicazione di quanto prevede la norma.
Il ruolo del consulente, soprattutto in realtà piccole, è quello di guidare l’OSA negli adempimenti di legge nel modo più semplice e snello possibile.
Q. Per un ristorante a conduzione familiare, quale può essere l’approccio più semplice?
A. La norma, come abbiamo già visto, prevede che “gli operatori siano in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento…”. Come è possibile soddisfare tale requisito? Sintetizzando, l’OSA (operatore settore alimentare) può predisporre, ad esempio, un elenco di fornitori con la descrizione della natura del bene fornito ed una semplice procedura che definisca le modalità di gestione della rintracciabilità “a monte” e le relative responsabilità. Gli operatori devono, a prescindere dai mezzi utilizzati, fornire le seguenti informazioni per dimostrare da chi hanno ricevuto un alimento o un mangime: nominativo del fornitore, (es. sede sociale, stabilimento di provenienza dell'alimento o del mangime, o animale, ecc.); natura dei beni ricevuti (es. denominazione, presentazione, ecc.); indicazioni ai fini dell'individuazione del prodotto (es. partita, lotto, consegna, ecc.) ai sensi dell'art. 18,comma 1; altre informazioni previste da norme specifiche.
Q. Come deve comportarsi l’OSA in merito alla tracciabilità interna?
A. La norma non prevede un vero e proprio obbligo in merito alla tracciabilità interna. Non è cioè obbligatorio seguire il percorso di ogni singolo ingrediente per documentare in quale prodotto finito è presente. La tracciabilità interna è più che altro una scelta aziendale. In una piccola realtà di ristorazione, pertanto, è obbligatorio documentare da dove proviene la merce ma nulla è richiesto come obbligo in merito alla tracciabilità interna.
Q. Cosa si intende per ritiro e richiamo in situazioni di allerta sanitaria?
A. Per ritiro dell’alimento si intende una qualsiasi misura, dell'operatore o dell'autorità competente, finalizzata ad impedire la distribuzione e l'offerta al consumatore di un prodotto non conforme ai requisiti di sicurezza alimentare. Si procede al richiamo dell’alimento quando altre misure risultino insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute.
Q. Come deve comportarsi un ristoratore che riscontri una non conformità (tale da non rappresentare un rischio per la salute del consumatore) su un alimento in entrata?
A. La corretta prassi prevede che l’OSA separi il prodotto dagli altri alimenti, lo trasferisca in un contenitore o in un’area dedicata e lo identifichi con un cartello con le informazioni minime: se il prodotto è già stato privato dell’imballo primario e/o secondario occorre riportare anche i dati dell’etichettatura indicati dal produttore, altrimenti è sufficiente apporre un cartello con la scritta “merce non conforme, da rendere al fornitore”.Occorre poi documentare l’avvenuto ritiro da parte del fornitore. L’archiviazione della documentazione di reso permette al ristoratore di dimostrare l’applicazione di quanto previsto per le situazioni di non conformità. Se invece il ristoratore ha motivo di ritenere che sussista un grave pericolo per la salute, provvede ad inoltrare la comunicazione all’Autorità Sanitaria Locale territorialmente competente e collabora con i tecnici della prevenzione nella gestione dell’emergenza.
di Roberta De Noia
Tecnologo Alimentare OTALL