Cleaning In Place (CIP) è il processo di pulizia dell’interno di un macchinario di processo senza la rimozione o lo smontaggio di parti dello stesso. Si tratta quindi di sistemi chiusi per la completa pulizia di impianti, senza interventi di pulizia manuale. Gli impianti CIP vengono utilizzati dalle aziende alimentari per la pulizia degli impianti, quali scambiatori di calore, omogeneizzatori, centrifughe, serbatoi di stoccaggio, tubazioni delle linee di produzione di bevande e alimenti, per assicurare elevati standard di igiene e pulizia.
La corretta pulizia degli impianti influenza la qualità del prodotto finale. A seconda delle necessità, le aziende alimentari possono optare per impianti CIP manuali, semiautomatici o completamente automatizzati, grazie a PLC e pannelli comandi touch screen, che consentono la memorizzazione di diversi parametri, come il tipo di lavaggio, la temperatura, la durata, la concentrazione delle soluzioni acida/basica. Gli impianti CIP sono dotati di diversi serbatoi (detergenti acidi e alcalini, disinfettanti, acqua), pompa di mandata e ripresa dei lavaggi, di termostato, valvole manuali o automatiche, riscaldamento elettrico, a vapore in vasca a soluzione alcalina o con scambiatore esterno e di diversi serbatoi.
Parametri che influenzano l’efficacia di un sistema CIP
L’efficacia di un impianto CIP dipende dall’azione meccanica, dai prodotti chimici, dalla temperatura, dalla durata del processo di pulizia. In un sistema CIP, l’azione meccanica è generata dalla pressione e dal flusso turbolento dei liquidi di pulizia che entrano nelle tubazioni a grande velocità, grazie alla presenza di ugelli ad alta pressione nei serbatoi. Per aumentare o diminuire l’azione meccanica occorre agire sulla portata e sulla pressione dei fluidi circolanti.
La tipologia e la concentrazione dei prodotti chimici utilizzati influenzano il risultato finale. I detergenti alcalini o acidi si devono sciogliere velocemente in acqua, non devono essere schiumogeni e sono non corrosivi, devono avere un’elevata azione bagnante, emulsionante e disperdente, essere facilmente risciacquabili e possibilmente poco costosi. Se lo sporco lo consente, le aziende alimentari possono applicare lavaggi CIP monofase, ovvero utilizzare solo il detergente alcalino eliminando la fase di lavaggio con il detergente acido, con importanti risparmi di tempo, acqua ed energia, e minore corrosione delle attrezzature. Per lo sporco più tenace, come lo sporco cotto che si forma sulle superfici degli scambiatori di calore, ricco di sostanze quali proteine, grassi, zuccheri e minerali rispetto a seconda dell’alimento trattato, si opera con detergenti maggiormente concentrati, temperature più elevate e utilizzo di soluzioni detergenti alcalina e acida in sequenza. Si tratta in questo caso di un sistema bifase, perché la detergenza avviene in due fasi distinte: alcalina e acida. In genere, vengono effettuati uno o più pre-risciacqui per evitare che lo sporco residuo si essicchi sulle pareti, viene utilizzato un detergente alcalino a caldo 60-80°C, eventualmente recuperato e riciclato, si eseguono risciacqui intermedi a temperatura ambiente con o senza recupero, si utilizza un detergente acido (50-60 °C) a cui segue un risciacquo. Il disinfettante chimico è a bassa temperatura, in genere tra i 20 e i 30°C, e va risciacquato a sua volta a temperatura ambiente.
La ricerca sui detergenti mira a trovare prodotti ad azione detergente più rapida ed efficace e che al contempo consentano di ridurre i consumi di acqua ed energia. Altre opzioni prevedono l’utilizzo di un detergente – disinfettante acido in modo da eliminare sia una detersione (quella con il prodotto alcalino) sia uno dei risciacqui, con risparmio di tempo, acqua ed energia.
La disinfezione può avvenire grazie alla circolazione di vapore o acqua calda o con prodotti a base di acido peracetico, disinfettanti clorati o biguanidi in caso di assenza di trattamenti termici.
Per massimizzare l’efficacia di un detergente o di un disinfettante è fondamentale che essi vengano utilizzati alla giusta temperatura. Per risparmiare sulla quantità delle soluzioni detergenti e massimizzarne l’efficacia, le temperature stanno tra 50 e 80°C. In genere, durante il ricircolo la temperatura aumenta di circa 5°C, mentre, per impedire la formazione di depositi di calcare, l’acqua ha una temperatura di 20-30°C.
Infine, occorre trovare il giusto compromesso tra una pulizia efficace e il tempo del trattamento CIP. La necessità di cicli di pulizia rapidi, per limitare il tempo di fermo produzione, costringe le aziende a una valutazione scrupolosa dei restanti parametri che necessariamente impattano maggiormente sul sistema CIP. Fattore imprescindibile che impatta sui tempi di risciacquo e di lavaggio è la lunghezza del circuito.
Progettazione
La fase di progettazione del sistema CIP è indispensabile per l’ottimizzazione di tutti i parametri precedentemente presi in considerazione al fine di raggiungere il risultato desiderato. L’azienda alimentare dovrà quindi scegliere tra un impianto centralizzato o decentrato, ovvero un’unica sezione CIP oppure sezioni più piccole in prossimità delle apparecchiature da pulire. Ciò dipende da numerosi fattori, quali la grandezza dell’impianto, la tipologia e i volumi delle apparecchiature da pulire, le problematiche gestionali e i costi delle diverse soluzioni impiantistiche. Altro fattore da considerare è il CIP a singolo uso o multi-uso. Nel primo caso, i prodotti chimici non vengono ricircolati, recuperati e riutilizzati, nel secondo caso sì e poiché il prodotto rimesso in circolo conterrà i solidi rimossi durante il precedente processo di pulizia, occorrerà prevedere dei filtri. Inoltre il sistema a singolo uso ha dalla sua un limitato investimento iniziale, controlli semplici, bassa manutenzione e portata di sostanze chimiche e acqua per il risciacquo minore. Si adatta bene a una unità portatile collocata accanto agli impianti. Di contro le soluzioni di lavaggio non vengono recuperate, ma scaricate al trattamento acque. Sono soluzioni impiantistiche adatte in caso di sporco rilevante, che rende difficile riciclare il detergente utilizzato per un utilizzo successivo.
I sistemi multiuso o a riciclo invece consentono il recupero delle soluzioni detergenti e acqua per il loro riutilizzo. Sono soluzioni valide quando una grossa quantità di sporco viene già rimossa in fase di pre-risciacquo. La soluzione detergente può essere riutilizzata, consentendo risparmi notevoli sia di acqua che di detergente. Si tratta però di soluzioni ad alto costo di investimento, complesse e che richiedono manutenzioni importanti. Tutte le fasi di riempimento, svuotamento, ricircolo e distribuzione delle soluzioni avviene in modo automatico e programmato.
Qualsiasi sia la scelta dell’azienda, è fondamentale analizzare i cosiddetti punti morti, ovvero tratti di tubazioni in cui i prodotti chimici potrebbero avere difficoltà ad accedere, consentendo l’accumulo e la proliferazione dei microrganismi, fonte di contaminazione delle lavorazioni successive. La caratterizzazione di eventuali punti morti può essere effettuata grazie a studi CFD (Computational Fluid Dynamics - Fluidodinamica computazionale). Essi consentono la simulazione e l’analisi, da parte di un software di progettazione assistita da computer, del flusso di un liquido, in questo caso detergenti e sanificanti, all’interno della tubatura, di una valvola, di un raccordo etc.
Un sistema CIP efficiente consente di ridurre i costi della sanificazione in modo significativo, grazie al risparmio di tempo e manodopera, al minor consumo di prodotti chimici e di acqua, dato dal ricircolo e dal dosaggio preciso, risparmio di energia. Con un sistema CIP, la sanificazione è più efficace e costante nel tempo, grazie all’utilizzo di un processo con parametri, quali temperatura, tempi, detergenti e disinfettati, validati. Infine, ma non meno importante, i sistemi CIP liberano gli operatori da operazioni gravose e a volte pericolose, riducendo, se non azzerando, la possibilità di contatto con prodotti chimici pericolosi e temperature e pressioni elevate.
Verifica dell’efficacia della sanificazione
È fondamentale verificare l’efficacia della sanificazione, in modo da confermare o modificare i parametri presi in considerazione, e minimizzare le contaminazioni. Per questo le aziende alimentari si adoperano in controlli analitici al fine di rilevare eventuali livelli di contaminazione residua o la presenza di residui di sostanze organiche che provino la non completa efficacia della sanificazione. I controlli microbiologici richiedono tempi di attesa lunghi per la crescita dei microrganismi e possono essere utilizzati in fase di validazione delle operazioni di pulizia con sistemi CIP. Per una valutazione rapida si utilizzano test diagnostici rapidi basati sul dosaggio di adenosintrifosfato (ATP) o di proteine. L’ATP è presente in tutte le cellule, in quanto fornisce l’energia necessaria per le diverse attività cellulari, e viene rilevata mediante il metodo bioluminometrico, grazie a piccoli strumenti portatili. In particolare, l’enzima luciferina-luciferasi catalizza in modo specifico l’idrolisi dell’ATP. La quantità di luce prodotta da questa reazione enzimatica è direttamente proporzionale alla quantità di ATP presente nel campione ed è misurata con un bioluminometro. Il ritrovamento di ATP sulle superfici indica quindi la presenza di sporco. È un metodo rapido, che non sostituisce la ricerca microbica tradizionale, ma è di facile esecuzione e rapido. Eventuali proteine residue possono essere rilevate con metodi colorimetrici. Le proteine reagiscono con un reagente presente nel kit sviluppando un colore confrontabile con una scala di riferimento.
Stefania Milanello
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica