Da qualche tempo il fenomeno delle fake news sta impattando sul rapporto tra consumatori e aziende. Questo vale soprattutto per il settore alimentare, che figura tra quelli più colpiti sal fenomeno delle bufale.

“Con un apposito studio abbiamo voluto fornire un ‘ritratto psicologico’ dei consumatori italiani che credono alle false informazioni”, ci riferisce la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario di psicologia dei consumi e della salute e direttore dell’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica di Cremona. “Il lavoro del nostro centro di ricerca ha portato a raccogliere dati attraverso un questionario di autovalutazione. Sono state così coinvolte mille persone che hanno formato un campione rappresentativo della popolazione italiana per età, genere, professione, area geografica. Usando poi analisi di tipo descrittivo e inferenziale, si è arrivati a evidenziare differenze significative nelle caratteristiche di consumo tra la popolazione in generale e chi crede nelle fake news.”

Chi crede alle fake news?

Quasi la metà del campione (48%) dichiari di aver creduto almeno qualche volta a una notizia in campo alimentare che si è rivelata in seguito falsa. Ma soprattutto, il 37% l’ha successivamente condivisa sui social network, nella propria rete di riferimento. Dal punto di vista demografico, alcuni target sembrano particolarmente coinvolti da questo fenomeno.Sul piano anagrafico si nota una sorta di polarizzazione, perché credono più alle fake relative al cibo sia i giovani (tra i 18 e i 25 anni) che i più maturi (over 66 anni). Ancora, chi è in possesso di un diploma di scuola superiore è più soggetto a fidarsi delle bufale, così come chi ha un reddito mensile netto medio basso (compreso tra i 900 e i 1.200 euro).

Ma la parte forse più rilevante dello studio del Centro di ricerca dell’Università Cattolica di Cremona riguarda l’impatto delle fake news sui consumi alimentari: per molti consumatori italiani, credere nelle fake news correla con il preferire cibi familiari e che aiutino a gestire lo stress e l’umore; e nel contempo sono persone meno interessate alla salubrità dei cibi scelti. chi casca maggiormente nelle bufale alimentari è anche più propenso del totale campione a consumare tutti i giorni cibi etichettati con le diciture “a Km 0”, “con l’aggiunta di...”, “sostenibili” e “vegetariani/vegani”.

In sintesi, il ritratto che emerge da questi primi risultati di coloro che si sono dichiarati maggiormente preda del potere persuasivo delle fake news alimentari è quello di un consumatore psicologicamente disorientato, che cerca di definirsi nel proprio ruolo. 

Il tentativo di costruirsi come consumatori, di informarsi e di diventare protagonisti dei propri consumi può aprire una potenziale finestra di disponibilità a cambiare la propria relazione con gli attori della filiera agro-alimentare; finestra in cui le aziende possono proporsi per costruire nuovi modi di dialogare e di collaborare con i consumatori per sostenerli nella loro progettazione di nuovi stili di consumo, più appaganti sul piano personale e identitario, ma anche maggiormente sostenibili e più sani a beneficio del singolo e della filiera.

 

Stefano Boccoli

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