I dati provenienti da UNAPA – Unione Nazionale tra le Associazioni dei Produttori di Patate e promotrice italiana del progetto UE Potatoes Forever! – confermano che quest’anno la superficie italiana coltivata è rimasta sostanzialmente in linea con gli anni scorsi – circa 47.000 ettari – nonostante gli agricoltori italiani – come i loro colleghi europei – abbiano dovuto fronteggiare una significativa mancanza di materia prima.
Un raccolto pataticolo decisamente complesso quello dell’annata 23/24, tra cambiamento climatico, emergenze fitosanitarie e, soprattutto, una disponibilità ridotta di tubero seme certificato. Il buon andamento della scorsa campagna di commercializzazione aveva generato un rinnovato ottimismo tra gli agricoltori italiani. Come è noto, infatti, l’Italia dipende totalmente dalle importazioni di tubero seme, ma i fenomeni alluvionali che hanno colpito il centro – nord Europa, combinati alla diffusione di virosi e alla drastica riduzione degli investimenti, hanno determinato una disponibilità molto ridotta di materiale propagativo. Nonostante questo scenario, in Italia le superfici coltivate a patata hanno mantenuto gli ettaraggi storici: ciò rappresenta un aspetto positivo e stabilizzante a livello di fabbisogno nazionale.
Il fattore climatico, caratterizzato da un’accentuata piovosità, ha influito negativamente sia a livello di rendimenti sia in termini sanitari, causando il declassamento o lo scarto di molto tubero seme. Anche l’Italia ha dunque subito le ripercussioni di questa carenza che, soprattutto nelle coltivazioni più tardive, si sono tradotte in semine irregolari, obbligando i produttori a impiegare varietà di patata disponibili al momento e alla semina di tuberi di grosso calibro (anche oltre i 55 mm), generalmente meno utilizzati dagli agricoltori professionali.
UNAPA che ha fornito questi dati è promotrice in Italia della campagna dell’Unione Europea Potatoes Forever!, il progetto triennale che mira a informare il consumatore finale riguardo alla bontà delle pratiche pataticole europee, di cui l’Italia rappresenta un’eccellenza, e a promuovere su tutto il territorio un’agricoltura sostenibile e di qualità.
Marcate differenze geografiche
La campagna di raccolto italiana può essere infatti divisa in due fasi: la campagna del novello, che interessa aree come la Puglia, la Campania e la Sicilia, e la campagna estivo-autunnale, che riguarda le patate destinate allo stoccaggio e che si svolge da giugno a settembre nel centro – nord Italia, per terminare tra ottobre e novembre con le scavature più tardive nelle aree interne e montuose, come l’altopiano della Sila o la provincia di Trento.
Le coltivazioni primaticce del sud Italia hanno avuto meno difficoltà nell’approvvigionamento di tubero seme, in particolare nelle semine più precoci, ma il clima siccitoso e l’assenza di precipitazioni che hanno investito la Sicilia hanno impattato fortemente sullo sviluppo fenologico della pianta e, quindi, nell’allegagione, determinando rese medie non superiori ai 260 – 280 quintali a ettaro. Le inferiori rese sono state tuttavia compensate dalle buone quotazioni, superiori alla media, che si sono mantenute costanti anche in Puglia, Sardegna e Campania.
Spostandoci al centro – nord, si sono registrate buone performance nelle aree costiere, sia tirrenica (Fiumicino e Toscana) sia adriatica (lidi ferraresi) dove, nello specifico, sono state raggiunte rese medie di circa 600 – 650 quintali a ettaro. Il distretto di Bologna ha segnato una buona ripresa dopo l’alluvione che aveva colpito l’area lo scorso anno. L’andamento climatico ha influito sull’areale dell’Alto Viterbese: a causa della temperatura torrida che ha colpito la zona prima della raccolta, le rese sono state decisamente nella media, ma inferiori alle stime iniziali. Anche l’altopiano della Sila ha sofferto il clima secco e siccitoso: ciò porta, nelle prime stime prudenziali, a ipotizzare che i raccolti avranno rese produttive corrette ma certamente non straordinarie.
Il nord - est ha dovuto fronteggiare infine piogge abbondanti seguite da temperature molto alte, che hanno compromesso una corretta maturazione vegetativa e, quindi, una buona tuberificazione, portando le piante a produrre più tuberi ma di piccola dimensione e, dunque, di difficile collocazione sul mercato del fresco. L’”isola felice” rimane l’areale del Fucino, che con la sua produzione abbondante riesce parzialmente a sopperire alle rese delle altre zone, contribuendo ad alimentare la riserva di prodotto nazionale.