Prima di lanciare un nuovo prodotto o rilanciarne uno esistente bisogna testare l’idea di base. Bisogna innanzitutto comprendere se vi sia un bisogno del mercato o se si sta rispondendo ad un trend dei consumi, o ancora se si vogliano aprire nuovi mercati. Fondamentale è quindi lo studio del consumatore con le sue abitudini e i suoi comportamenti, le sue preferenze, esigenze e aspettative.

Questa analisi di nuovi bisogni e dei comportamenti del consumatore si effettua tradizionalmente attraverso l’impiego di metodi qualitativi, indagini che esplorano i meccanismi alla base del processo decisionale in fase di scelta, acquisto e consumo di un prodotto. Al termine di questa fase esplorativa, il prodotto inizia a prendere forma attraverso la definizione degli obiettivi di sviluppo. Dopo la realizzazione dei primi prototipi pilota, entra in gioco l’analisi sensoriale oggettiva, per valutare analiticamente i prototipi, rilevarne le differenze in termini di qualità sensoriale, definire il loro profilo sensoriale, tracciare il decadimento qualitativo per stimarne la shelf-life e studiare gli effetti diretti dei vari ingredienti sulla qualità sensoriale, anche in relazione ai principali competitor di mercato. Definito il profilo sensoriale, attraverso le metodologie di analisi descrittiva “statica” (QDA) o “dinamica” (TDS), si deciderà se effettuare il “me too” di un competitor di particolare successo oppure lavorare sulla costruzione di un’identità originale. Definita la fattibilità di prodotto (per quanto riguarda gli aspetti tecnici e normativi), si passa all’esame del consumatore finale con le indagini quantitative: blind product test, se l’oggetto dello studio è solo il prodotto in sé, concept product test, se è necessario validare una nuova relazione concetto-prodotto, oppure product test as market quando si vuole studiare la relazione tra prodotto e brand/packaging. Queste sono solo alcune delle metodologie a supporto delle aziende per rilevare il posizionamento del proprio prodotto nel quadro competitivo di riferimento. Da queste ricerche arriveranno informazioni sul livello di gradimento sensoriale incontrato dal nuovo prodotto presso il consumatore, sulle eventuali aree critiche da migliorare e sul gap registrato verso i competitor, indicatori della potenzialità di successo dopo il lancio. A questo punto si avranno le indicazioni per capire in quale direzione proseguire: verso un’ultima messa a punto finale della ricetta e della tecnologia produttiva, oppure verso la fase di industrializzazione che preceda il lancio finale. Qui sarà preziosa l’analisi sensoriale descrittiva per definire il cosiddetto profilo sensoriale di base, che tiene conto anche della variabilità della produzione e ne delimita i confini. Questo poi rimane come riferimento e punto di partenza per tutta una serie di applicazioni utili su più fronti: in attività periodiche di controllo della produzione, in studi di definizione e controllo della shelf-life, in studi di nuove ricettazioni o che prevedono un cambio di ingrediente o di parametri tecnologici, in modo da monitorare il prodotto e valutare eventuali scostamenti del profilo sensoriale definito da quello di base. Il profilo di base è anche un’utile fonte di sviluppo di procedure sensoriali definite ad hoc per il controllo della qualità routinaria del prodotto, in linea e a fine linea, e per la diffusione interna all’azienda di un vocabolario sensoriale comune, indispensabile nel facilitare il dialogo tra le diverse funzioni in tema di caratteristiche sensoriali (da: Il ruolo multifunzionale della consumer&sensory science nelle aziende. S. Abbà).

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