Cosa è cambiato nelle abitudini degli italiani post Covid? Lo ha spiegato con i numeri Christian Centonze, Industry Food Director di Nielsen che ha dichiarato: “La crisi sanitaria che abbiamo vissuto e che stiamo tuttora vivendo non ha eguali rispetto a quelle passate. Lo scenario che stiamo vivendo in questo momento deve affrontare una ripresa economica ma limitare la ripresa del contagio”.
Il largo consumo in Italia nel primo periodo della pandemia è cresciuto del 13%, con un impatto fortissimo in termini di canalizzazione della spesa; hanno sofferto molto le grandi superfici, sono cresciuti in modo esponenziale tutti i negozi di prossimità e il mondo dell'e-commerce ha registrato più 144%; sono cambiate le scelte di canali ma anche dei negozi: cresciuti quelli che prima erano meno performanti; quelli che hanno sofferto invece sono stati quelli che in pre-pandemia avevano migliori prestazioni e durante la crisi gestito a fatica il normale flusso della loro clientela (per esempio per le code e il distanziamento). Infine, è crollata la pressione promozionale dal 26-27% al 19%.
L'impatto della pandemia nel mondo del largo consumo non è stato solo quantitativo ma anche qualitativo perché ha cambiato le abitudini e i comportamenti dei consumatori, riflette Centonze in linea con Guido Barilla “Le persone sono state molto attente alla sicurezza e hanno riscoperto la ritualità dei consumi in casa”.
Sono cambiati i comportamenti d’acquisto: i clienti hanno cominciato a privilegiare prodotti alternativi al fresco, più comodi nel momento in cui i tempi della spesa erano dilatati e incerti. Sono cresciuti surgelati, latte a lunga conservazione, prodotti da dispensa e i prodotti dell’igiene. La crescita si è poi assestata nei mesi di giugno e luglio, e ha ripreso ad agosto. Appena finito il lockdown però si è vista una ripresa del valore della convenienza, si è cominciato a sentire la crisi economica e anche la pressione promozionale è, infatti, tornata alla normalità. In termini invece di canali specializzati si vede una crisi delle grandi superfici, crescono il discount, gli specialisti e l’e-commerce.
Il digitale è un tema centrale di questa analisi
L’e-commerce che vale l’1,5% del largo consumo in Italia, dall’inizio della pandemia ha fatto segnare +149%, ma nel momento di picco non c’era offerta disponibile per le persone che volevano acquistare online. Metà del territorio italiano inoltre non era (e non è) coperto da un offerta che ha quindi un potenziale molto alto. Cosa ci aspetta nel futuro? Il largo consumo deve seguire i cambiamenti delle esigenze delle persone. Quattro punti andranno saranno ineludibili, dice Centonze: la crisi economica; una sorta di “elaborazione del trauma” lasciato dalla terribile crisi sanitaria che abbiamo vissuto; la nuova centralità che ha preso la sfera domestica e la nuova normalità digitale. La crisi economica sarà severa e i suoi effetti non saranno simmetrici. Soffriranno le categorie più deboli: famiglie con figli, lavoratori con maggior instabilità rispetto a chi ha un reddito certo; il target “maturo” potrebbe invece soffrirne meno.
“Quasi 10 milioni di italiani avranno una minore capacità di spesa per cui si dovrà forzatamente mantenere bassi i prezzi dei prodotti agroalimentari”, ha osservato Dino Scanavino, Presidente CIA Agricoltori Italiani. Come nel 2008 ci possiamo aspettare un fenomeno di polarizzazione dei prezzi verso il basso e comunque anche verso l’alto, secondo Centonze. Ci troveremo in uno scenario in cui bisognerà fare delle scelte precise: o lavorare sull'efficienza e sul prezzo o sul valore. Il posizionamento intermedio, secondo Centonze, è perdente.
Per ragionare sul valore bisogna pensare a quale sia l’aspetto più rilevante oggi rispetto a ieri. “Le persone potrebbero essere disposte a spendere un po' di più per quei negozi, quelle categorie prodotti, quelle marche, in grado di rassicurarli da un punto di vista oggettivo ma anche psicologico”. Rispetto a questo tema della rassicurazione dicono che compreranno più spesso prodotti italiani. E se andiamo a vedere gli acquisti quello che si è visto anche dopo la chiusura è proprio una crescita tumultuosa di tutto il mondo del “100% italiano” delle Dop, Igp, prodotti con una grande valenza identitaria.
Francesca De Vecchi
Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica