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L’obiettivo di ridurre il rischio chimico e le sue conseguenze, con un uso dei biocidi al minimo necessario, e solo ai casi in cui, per la loro efficacia, siano l’unica garanzia a protezione della salute.

Nel 1991 un articolo in seguito molto citato dal titolo “The potential effects of climatic change on agricultural insect pests” (JH Porter et al., Agricultural and Forest Meteorology), riportava che i cambiamenti climatici derivanti dall’aumento dei livelli di gas serra atmosferici dovuti alle attività umane avrebbero avuto un effetto significativo sugli insetti delle derrate e che l’aumento delle temperature anche “solo” di 1°C avrebbe portato a una serie di implicazioni sugli infestanti il cui ciclo vitale è dipendente dalle temperature, nelle regioni a media latitudine.

Ricordava anche che i cambiamenti climatici possono comportare trasformazioni nella distribuzione geografica, l’aumento dello svernamento, cambiamenti nei tassi di crescita della popolazione, aumento del numero di generazioni, estensione della stagione di sviluppo, cambiamenti nella sincronia tra colture e parassiti, cambiamenti nelle interazioni interspecifiche e aumento del rischio di invasione da parte di parassiti migratori.

La normativa

A distanza di 32 anni possiamo dire che il cambiamento climatico è fra le principali minacce per gli ecosistemi, la disponibilità di cibo, l’acqua e la sicurezza alimentare. Per questo la sostenibilità e l’impatto che le attività umane possono avere sugli equilibri ambientali sono al centro delle politiche di sviluppo di molti governi. Del Green Deal europeo, il programma di iniziative politiche che hanno l’obiettivo di far raggiungere all’Europa la neutralità climatica entro il 2050, fa parte ovviamente anche la regolamentazione delle sostanze chimiche e dei pesticidi, che l’Unione sta tentando di perseguire con lo scopo di proteggere la salute dei cittadini e l’ambiente con un’attenzione particolare alla sostenibilità economica e alla salvaguardia dell’operatività negli scambi commerciali.

Nel flusso “dal campo alla tavola” – che descrive la filiera alimentare dal punto di origine a quello di destinazione – si vuole infatti ridurre del 50% l’uso e il rischio dei pesticidi chimici e biocidi, entro il 2030. Per questo ambizioso obiettivo, tutta la normativa al riguardo sta vivendo una fase di rimodulazione in termini di commercializzazione e di uso di determinate categorie di prodotti chimici, di restrizioni riguardanti l’immissione sul mercato e l’uso di particolari sostanze e preparati pericolosi, nonché in materia di incidenti rilevanti e di esportazione delle sostanze pericolose. Il traguardo più ambizioso è probabilmente rappresentato dal regolamento REACH, che disciplina la registrazione, la valutazione e l’autorizzazione delle sostanze pericolose e le limitazioni loro applicabili.

L’uso dei biocidi

Le ricadute in termini di sicurezza delle produzioni alimentari, da quella primaria alla trasformazione, in merito alla gestione degli infestanti è un tema centrale. Ci si aspetta che l’intera categoria promuova al suo interno innovazione e sostenibilità, attraverso “l’aggiornamento tecnico, l’ampliamento delle competenze scientifiche e la conoscenza del quadro regolatorio”, ricorda Francesca Ravaioli della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, nell’ambito del recente convegno di A.N.I.D. (l’Associazione Nazionale delle Imprese di Disinfestazione) che si è tenuto in occasione del World Pest Day (“Tradizione e futuro per la sostenibilità”, Roma, 6 giugno 2023).

In questo quadro l’uso dei biocidi sarà ridotto al minimo necessario ai casi in cui, per la loro efficacia, siano l’unica garanzia a protezione della salute. Una visione sostenibile della chimica che non contrasta con l’Agenda 2030 dell’ONU e i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG). Per soddisfare l’obiettivo numero 12 (Consumo e produzione responsabili) i biocidi rimangono uno strumento importante, che può contribuire a proteggere gli esseri umani, gli animali o i materiali dagli organismi nocivi. Ma “i vantaggi del loro uso devono essere positivi e durevoli”, sottolinea ancora Ravaioli.

La lotta integrata e sostenibile

Inquinamento e sfruttamento dei suoli e delle acque, riduzione delle risorse non rinnovabili sono i motivi che hanno fatto sì che la mitigazione dell’impatto ambientale caratterizzi sempre di più qualsiasi attività di produzione, in qualunque settore. Quello della gestione degli infestanti, dalle imprese di produzione alle società di servizio più professionali e aggiornate, promuove da molto tempo strategie di tipo integrato, incoraggiando le attività di prevenzione, i programmi di monitoraggio e i sistemi di lotta orientati alla sostenibilità.

Una gestione degli infestanti coerente con questo orientamento non può prescindere da un approccio che combini diverse strategie, che abbia come obiettivo la riduzione al minimo dell’utilizzo di pesticidi e sostanze nocive e che si basi sulla stretta collaborazione fra il professionista preparato e l’azienda.

image4Lo schema operativo è quello che si riassume nella nota piramide dell’IPM (Integrated Pest Management) che restituisce graficamente l’importanza dei livelli di intervento in termini di efficacia e di tossicità: nella parte bassa della piramide si trovano quelli di tipo preventivo che contemplano misure che in molti casi, da sole, possono evitare un’infestazione (pulizia e sanificazione, contenimento dell’accesso agli infestanti, protezione degli alimenti e segregazione dei rifiuti); salendo verso l’apice della piramide si posizionano a seguire le attività di riconoscimento dei segnali caratteristici di una infestazione e del parassita responsabile (che permettono di limitare i danni e semplificare il controllo); quindi la lotta tramite mezzi biologici, fisici e meccanici (non chimica) e infine, appunto all’apice, il ricorso ai biocidi consentiti usati con competenza.

Innovazione e digitalizzazione

La sicurezza delle produzioni alimentari, per quanto riguarda la gestione degli infestanti, deve fare i conti con un ambiente profondamente mutato, riflette Davide Di Domenico, entomologo e referente scientifico A.N.I.D. La disinfestazione oggi richiede un approccio innovativo da parte dei professionisti e dei consulenti dei servizi ma anche una consapevolezza da parte del comparto alimentare riguardo a metodi e strumenti.

L’uomo condivide il suo ambiente con un sempre maggior numero di specie selvatiche che trovano nelle aree urbane o antropizzate cibo e riparo. Studiare le popolazioni di animali e di tutte le situazioni che ne favoriscono l’insediamento è un’attività che sempre più dovrà essere affiancate alle consolidate azioni di protezione dei siti dalle infestazioni.

“Nel futuro sarà inoltre sempre più necessario imparare a osservare e analizzare”, ha detto Di Domenico intervenendo all’evento A.N.I.D. “e saper integrare nella pratica quotidiana anche gli strumenti che la sensoristica digitale mette a disposizione. Siamo agli albori di una tecnologia che dovremo poter utilizzare al meglio, perché permetterà di arrivare a soluzioni in tempi più veloci”.

Va aggiunto poi che i sistemi di cattura e di soppressione sono da un lato limitati sempre di più dai comitati etici per le questioni di benessere animale (dal divieto di uso di colle a trappole soggette al vaglio); dall’altro bisogna considerare che anche gli animali (in particolari i soggetti adulti) stanno imparando a evitare questi sistemi, con il risultato che l’efficacia dell’azione di lotta può essere ridotta. I sensori disponibili oggi sono invece in grado di mandare segnali in tempi reali che permettono di identificare velocemente le vie di accesso dell’infestante così da intervenire per chiuderle limitando i passaggi. Una tecnologia evoluta che oggi può essere integrata alle postazioni di monitoraggio per rilevare in modo preciso i percorsi degli infestanti nelle aree sensibili.

 

Francesca De Vecchi

Tecnologa Alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

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