L’ingrediente che contiene glutine è il malto d’orzo, insieme ad altri cereali spesso impiegati come il frumento, l’avena o il farro.
Per risolvere il problema, si potrebbe pensare di produrre birra utilizzando quelli che vengono definiti “pseudo-cereali”, che non contengono glutine: il sorgo, il miglio, il mais o il riso, ad esempio. Pratica consentita in America o in Australia dove si distinguono birre gluten free, ovvero che non hanno alcun ingrediente contenente glutine in partenza, e birre gluten reduced, che hanno malto d’orzo deglutinato con enzimi. Tuttavia, in Italia, questa soluzione non è compatibile con le disposizioni di legge. Infatti, viene specificato che “la denominazione “birra” è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele e acqua, amaricato con luppolo o suo derivato o con entrambi”. Rimuovendo il malto d’orzo o di frumento, bisognerebbe riportare in etichetta la dicitura “bevanda a base di riso” o “bevanda a base di mais”. Per legge, non è consentito definirla propriamente “birra”, pena minima sanzioni amministrative pecuniarie fino a 16mila euro, a meno che il caso non costituisca reato.
Le birre senza glutine seguono lo stesso procedimento produttivo delle birre con glutine. La differenza è nell’introduzione durante la fermentazione di specifici enzimi, come il Clarex usato anche per chiarificare la birra. Una tecnica, utilizzata perlopiù in campo industriale, che prevede l’impiego massivo di luppoli in fase di bollitura. Questo perché le resine dei luppoli si legano al glutine, facendolo precipitare sul fondo del tino e rendendolo facilmente eliminabile durante il whirpool. Aiuto ulteriore a questo procedimento diventano poi la maturazione a freddo e la microfiltrazione.
Una volta che la birra viene infustata o imbottigliata, sarà necessario che, in caso di somministrazione, anche chi si occupa del servizio presti attenzione alle possibili contaminazioni. È buona norma lavarsi bene le mani prima di spillare birre senza glutine e, soprattutto, bisogna evitare di utilizzare la stessa spatola tagliaschiuma usata per le birre tradizionali.
I test di laboratorio sono davvero sicuri?
Tutti i fermentati come la birra necessitano di test dedicati; infatti, la fermentazione e le lavorazioni ad alte temperature idrolizzano il glutine. Negli ultimi dieci anni, diversi studi stanno mettendo in discussione l’efficacia dei test ELISA R5 Competitive o “sandwich” largamente utilizzati dai laboratori per rilevare la presenza di glutine nei fermentati. Questo perché i test prendono in esame i peptidi di glutine ma non riescono a convertire i risultati nell’effettiva quantità di singole molecole presenti nel campione analizzato. Ad oggi, si stanno ancora conducendo diversi studi sulle tecnologie per rilevare singole molecole di glutine e ottenere risultati più attendibili; Già dal 2013 la Food and Drug Administration ha vietato l’utilizzo di test ELISA R5 Competitive per apporre in etichetta il claim “senza glutine”, a meno che le birre non siano in partenza prodotte da pseudo-cereali. Tuttavia, nonostante i numerosi studi e i chiari esempi di ricerca innovativi, altri metodi non sono ancora stati validati e regolamentati dagli enti internazionali che si occupano di sicurezza alimentare. Pertanto, non sono riconosciute effettivamente tecniche di analisi alternative ai test ELISA.
Marianna Bottero
Autore per Birra Nostra Magazine