A ben vedere la filiera latte italiana è costituita da tanti fattori che si possono considerare in elementi produttivi, economici e politici, commerciali, finanziari, ma soprattutto – anche se sovente dimenticati – sociali e umani.
Gli eventi e gli avvenimenti degli ultimi decenni hanno evidenziato la forte resilienza della filiera, più che sotto il profilo meccanico della resistenza alla rottura, proprio nell’accezione psicologica della capacità di reagire di fronte ai traumi e alle avversità. Sotto i profili produttivi ha, in pratica, assorbito tutte le innovazioni tecnologiche delle meccanizzazione e motorizzazione e sta metabolizzando anche quelle digitali.
Oltre alle difficoltà delle congiunture economiche e politiche nazionali, il comparto lattiero-caseario ha saputo reagire prima agli incentivi che crearono le montagne di latte in polvere e di burro, e in seguito anche ai disincentivi delle quote latte. Dal punto di vista commerciale ha saputo e sa trovare l’equilibrio tra dimensione produttiva, posizionamento prodotto e mercato di riferimento.
Meno facile, invece, la questione finanziaria, vuoi per ragioni strutturali, amministrative e bancarie, di certo la finanza non è il punto di forza nazionale.
Parmalat è un esempio di scuola. Dopo lo scandalo bancario del 2003, pur reggendo sul mercato con un’eccellente qualità dei prodotti, nessuno in Italia ha saputo o voluto avvicinarsi a essa.
I quattro maggiori cavalieri del latte si erano eclissati da tempo, passando: Locatelli a Nestlè nel 1961, Polenghi Lombardo a Fedital nel 1977, Invernizzi a Kraft nel 1985, Galbani alla IFIL nel 1989.
In definitiva, gli aspetti sociali e umani risultano essere la chiave del sistema.
Una radicata cultura alimentare, basata su una millenaria cultura lattiero-casearia, ha retto le sorti della filiera sinora . Perché sinora? Perché se non teniamo bagnate le radici culturali e sociali di tutte le risorse umane coinvolte, si potrebbe veramente creare una sorta di sostituzione culturale, dove il latte e il formaggio – almeno sui social – lo produrrebbe la GDO o in qualche fermentatore GMO. E la vacca da latte? Quella sarebbe finalmente rispettata e amata come l’orsa trentina!
Vincenzo Bozzetti
Direttore tecnico di Scienza e Tecnica lattiero-casearia