Riccardo Deserti, classe 1967, laurea in Scienze Agrarie, dopo le prime esperienze professionali presso la Società di studi economici Nomisma, poi proseguite al Ministero delle Politiche Agricole come Direttore Generale dei prodotti di qualità, è nominato Direttore generale del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano nel 2012. Lo scorso 23 novembre, con mandato biennale, è stato eletto presidente di oriGIn-GI (Organization for an International Geographical Indications Network), con sede a Ginevra.
OriGIn-GI è la rete internazionale fondata nel 2003, che rappresenta direttamente 576 indicazioni geografiche prodotte in 40 Paesi, di fatto il sistema capofila di un panorama globale in cui sono complessivamente censite oltre 8.800 denominazioni geografiche. Questa “Alleanza Mondiale delle indicazioni geografiche” nel suo sito internet www.origin-gi.com, promuove l’obiettivo primario di promuovere la protezione legale internazionale dei prodotti IG.
Dottor Riccardo Deserti, oriGIn-GI, per raggiungere i suoi obiettivi primari, deve interagire con WTO, UE, WIPO, CANN, oltre che con i vari enti locali. Nei primi cento giorni di Presidenza le è stato possibile organizzare un’agenda lavori e fissare degli obiettivi raggiungibili?
In queste settimane abbiamo lavorato in continuità con l’azione sviluppata nel mandato precedente concentrandoci su un obiettivo di “accelerazione”. Accelerazione da esprimere a diversi livelli. Alla base dell’organizzazione poniamo l’obiettivo di ampliare sempre più la rappresentatività della rete. Più ampia è la nostra rete, e maggiore diventa nel tempo la penetrazione in diverse aree del mondo della sensibilità e delle politiche legate alle indicazioni geografiche. Quindi il primo obiettivo è accelerare l’ampliamento della nostra rete, sia per aree geografiche che per prodotti, a tutti i livelli merceologici: food, vino, spirits e no-food. Il secondo obiettivo è accelerare nella condivisione e diffusione delle competenze. Nella rete oriGIn partecipano realtà giovanissime e altre con lunga storia. Realtà piccole e altre economicamente strutturate. Questa diversità è oggi un valore enorme perché obiettivo centrale è supportare la crescita della rete e delle singole IG. E questa crescita può trovare energia e competenze uniche proprio nei consorzi e nelle filiere legate a una storia pluridecennale o anche secolare. In questa prospettiva, indubbiamente, Italia e Francia hanno la responsabilità di essere le capofila. La visione di questo modello è però “circolare”. Non si tratta di aiutare le aree in via di sviluppo o più “acerbe” per meri fini assistenziali. È vero il contrario! Se in Cina, Perù, Marocco – solo per fare qualche esempio – si diffondono indicazioni geografiche, i loro produttori faranno pressione sui governi locali generando le condizioni per avere normative e strumenti e quindi sensibilità al tema delle IG, con interesse indiretto di medio termine per tutte le IG mondiali. Una notizia di questi giorni è che, nell’accordo USA-Giappone sono stati riconosciuti Bourbon e Tennessee Whiskey come indicazioni geografiche in Giappone. Lavoreremo nei prossimi mesi per coinvolgere questi due prodotti nella rete di oriGIn. È una strategia dal basso per sostenere i nostri principi anche in USA, cioè il mercato più ostico e contrario – fino a oggi – alle indicazioni geografiche.
In passato e in una visione locale i quattro pilastri sui quali poggiano le indicazioni geografiche erano: territorio e fattori locali, usi leali e costanti. Sono ancora validi oggi in una prospettiva mondiale?
Sì, lo sono e lo diventeranno ancora di più in futuro! Se osserviamo i trend di questo decennio potrebbe – in apparenza – emergere uno scenario diverso. Per qualsiasi impresa agroalimentare, e quindi anche per quelle delle IG, oggi parole chiave sono sostenibilità ambientale e benessere animale. Sono temi importantissimi per i quali le IG, per prime, devono offrire ai consumatori risposte concrete, credibili e soprattutto coerenti alla reputazione di cui godono i singoli prodotti geografici. Questo nel breve. Se però volgiamo lo sguardo al futuro di lungo periodo una cosa è certa: tra 20 anni il futuro di un grande vino, di un grande formaggio o altro prodotto oggi apprezzato sarà sempre e comunque ancorato al legame alla zona di origine e ai contenuti distintivi di qualità intrinseca. Gli attributi aggiuntivi potranno mutare di importanza o potranno subentrarne di nuovi. Per questo motivo i pilastri “originari” della qualità sono i valori a cui non occorre mai derogare. Allargare le maglie della qualità è una tentazione da cui le imprese che stanno sul mercato sono naturalmente attratte, ma questa strada – quando percorsa dall’IG – diventa una strada senza ritorno.
Indicazioni geografiche, Consorzi tutela DOP, certificazioni, marchi pubblici e privati, non siamo entrati in un labirinto nel quale si rischia la paralisi imprenditoriale e la creatività?
No, anzi. Il problema della proliferazione eccessiva delle iniziative, delle certificazioni, delle registrazioni, e quindi del labirinto, esiste. E questo problema genera anche dei danni. Se comprendiamo i danni si può capire dove mettere le mani per ripartire. Un primo danno è che il “labirinto” alimenta la dispersione di risorse, sia pubbliche che private. Nel senso che in questo caos si perde la capacità di selezione degli investimenti e molti di questi vanno a iniziative non meritevoli o non sostenibili. C’è poi un effetto rumore di fondo, di confusione sui valori, che riduce l’efficacia nei confronti del consumatore. Partendo da questi spunti si capisce facilmente dove intervenire. Non servono regole e divieti per mettere ordine in questo labirinto. La scelta “sana” è mettere il mercato nelle condizioni di esercitare la selezione naturale di prodotti e iniziative meritevoli. In questo senso lancio due principi cardine:
- le proposte devono venire da chi produce, da chi scommette sulla sua impresa; quando proposte di nuove IG o certificazioni o marchi nascono dalla Pubblica Amministrazione o dalla politica autonomamente, allora si tratta di un’ingerenza inutile e dannosa. Ovviamente parlo di inutile e dannosa rispetto all’obiettivo di sviluppare al meglio gli obiettivi insiti nella potenzialità economica di base;
- il supporto economico, indispensabile per sostenere le iniziative meritevoli in questa materia, deve legarsi a percentuali ridotte, massimo il 50%; in caso contrario si promuovono iniziative orientate al contributo invece che al lancio di nuovi business capaci di autosostenersi dopo la fase iniziale.
Per favore, potrebbe precisare in merito alle produzioni casearie aventi DOP e IGP, i prossimi passi necessari per avvicinarsi o raggiungere una solida protezione internazionale?
Non esiste una specificità giuridica dei formaggi rispetto ai prodotti food. La specificità nasce da quello che i formaggi rappresentano “di fatto”. Tra i formaggi troviamo, infatti, i prodotti IG maggiormente sottoposti a problemi di imitazione e, quindi, quelli che esprimono i maggiori bisogni di protezione. Si pensi a Gruyère, Comté, Feta e in Italia al Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Gorgonzola, solo per citare i più colpiti. Ma veniamo alla risposta: il miglioramento della protezione “reale” a livello internazionale si raggiunge attraverso un’azione coordinata e costante. Per vincere questa sfida, o comunque per misurare decisi passi avanti, serviranno almeno 10 anni, durante i quali tanti attori dovranno fare – ognuno – la sua parte. L’Unione Europea dovrà mantenere altissima la difesa dei nomi geografici negli accordi internazionali, senza aprire spazi a compromessi irreparabili. Unione Europea e singoli Paesi dovranno alimentare strumenti per il sostegno diretto e indiretto delle azioni di tutela e protezione a livello internazionale: penso sia al sostegno dei costi delle azioni di tutela legale, ma anche a campagne di informazione al consumo e agli operatori sui comportamenti corretti e non ingannevoli. Poi il compito dei produttori, che devono generare risorse private per attivare ogni livello di protezione. Se non sono i produttori i primi a credere e investire per i loro redditi futuri, il sistema è destinato a implodere. E infine il ruolo della rappresentanza, a tutti i livelli, condividendo una coerenza e convergenza delle proposte e delle richieste ai vari livelli politici e amministrativi. E proprio su questo punto si pone il ruolo di oriGIn, con l’obiettivo già definito per questo mandato di promuovere la creazione di un sistema di rappresentanza coordinato e omogeneo nelle differenti macro-regioni geografiche mondiali.
Da anni in Italia, il tema dei prodotti similari ed evocativi è molto sentito. Girano parole grosse del tipo: etichettatura ingannevole, frode in commercio. Cosa pensa in merito? Secondo Lei è irragionevole sperare in una soluzione equilibrata per l’iniziativa privata e per la tutela del consumatore?
La cosa difficile da conciliare sono gli interessi contrapposti. Quindi se ci poniamo dal punto di vista di chi produce prodotti è difficile trovare il bandolo di questa matassa. Per sciogliere il rebus occorre ripartire dall’interesse originario, quello del consumatore. Produrre prodotti “simili” fa parte delle regole del gioco. Se la ricetta Coca Cola o della Nutella sono protette da brevetti, nelle indicazioni geografiche ricetta e processo sono pubblici e facilmente reperibili da chiunque. Quindi il tentativo di imitare non è di per sé un problema. Il problema su cui non possono esserci dubbi, è la modalità con cui quel prodotto viene presentato e proposto al consumatore. E questo deve avvenire assicurando che in nessun modo il consumatore possa associare o vedere legami con prodotti tutelati e registrati. Altrimenti entriamo nell’area dell’ingannevolezza. Su questo tema non ci devono essere dubbi. Se un’impresa che produce similari decide di muoversi “border line” o oltrepassare questo confine, deve essere consapevole che qui non parliamo più di libera iniziativa, ma di concorrenza sleale a danno di produttori che – nei decenni – hanno investito per creare dal nulla prodotti e reputazione. Per entrare nel vivo può essere utile calare questo ragionamento nel mondo dei formaggi, e in particolare dei formaggi duri. Sicuramente la produzione di formaggi duri non dop, se avviene in imprese estranee alle filiere dop, può essere classificata come un sacrosanto diritto di iniziativa privata. Ma qui lancio una riflessione. Da oltre 1000 anni sono solo due i formaggi prodotti con quella specifica e unica “forma della forma”: il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. Quella forma che, osservata in una scalera da lontano, fa dire a qualsiasi consumatore interrogato sull’immagine che si tratta di Grana Padano o di Parmigiano Reggiano. Ora vengo al dunque. Se quella forma è distintiva in quanto perché mai tutti i produttori che vogliono fare prodotti similari a pasta dura, casualmente dico io, non fanno panetti, formelle o altro, ma “copiano” la “forma della forma” delle due DOP? Dal punto di vista delle aule di tribunale potrebbero esserci risposte diverse, ma rispetto alla domanda posta in termini di cosa è giusto per il bene generale del sistema, ritengo evidente in quale campo da gioco ci troviamo!