Il trend di crescita potrebbe continuare, proiettando l’Italia verso l’autosufficienza produttiva. Sul comparto lattiero-caseario pesano i costi produttivi e la difficoltà di adeguare i listini di vendita, soprattutto nella GDO. Opportunità potrebbero invece arrivare dalla transizione ecologica e digitale.

Nel Report realizzato da Ismea, con la collaborazione di Alleanza Cooperative Agroalimentare sugli scenari produttivi a medio-lungo termine della filiera lattiero-casearia, presentato a Verona in occasione del Dairy Summit lo scorso novembre, si legge che nei prossimi cinque anni la produzione di latte in Italia aumenterà del 10-15%, con un tasso di variazione medio annuo del 2-3%, verosimilmente più accentuato nei primi anni e che è destinato a proseguire fino al 2030, per poi affievolirsi nei decenni successivi. Secondo il Report Ismea, in conseguenza della maggiore disponibilità di materia prima nazionale, le importazioni di latte dall’estero dovrebbero subire una contrazione dell’8% in volume considerando anche un calo della domanda interna. L’Italia dovrebbe, quindi, raggiungere l’autosufficienza teorica  in termini di materia prima in pochi anni, attualmente pari a circa l’80%. A partire dalla fine del regime delle quote – 1° aprile 2015 –  la produzione di latte vaccino è significativamente aumentata in Italia, superando i 12,6 milioni di tonnellate nel 2020  (+13,4% rispetto al 2015). La maggior parte dell’incremento si è realizzata nelle regioni del Nord (Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte), ma anche in Calabria, Puglia e Sicilia e Basilicata.
Alla luce di questi dati, abbiamo chiesto a operatori del settore di rispondere alla seguente domanda: “Nell’Unione Europea la produzione del latte è stazionaria o in riduzione, in Italia al contrario è in aumento ed esportiamo latte in Germania. Quali opportunità o minacce si possono prospettare nei prossimi tre anni?”

Grande richiesta per i prodotti Made in Italy

Secondo Roberto Cavaliere, Presidente della Copagri Lombardia e responsabile nazionale del comparto lattiero-caseario della Copagri, la situazione che stiamo registrando in questi ultimi mesi per il comparto lattiero-caseario comunitario non è nient’altro che un déjà vu di quanto verificatosi nel 2007, quando in un contesto economico molto simile, caratterizzato dalla stagnazione della produzione lattiero-casearia del Nord Europa, era diventato particolarmente vantaggioso per le produzioni italiane andare sul mercato tedesco; proprio la Germania, come sta avvenendo in questi mesi, era passata per un breve lasso di tempo dall’essere esportatore di latte a importarlo dall’Italia, con prezzi molto simili a quelli ai quali oggi viene venduto il latte italiano oltralpe, con remunerazioni superiori a quelle nazionali e che scaturiscono da un processo gestito dal sistema industriale, che in questo momento non riconosce aumenti ai produttori. Vale la pena di ricordare, poi, che nel 2015, con il variare della normativa sui quantitativi prodotti, il nostro Paese si è visto fautore di un importante aumento di produzione, che in 6 anni ha superato le due milioni di tonnellate, per un incremento produttivo che ha sfiorato il 20%. Tale aumento ha comportato un drastico calo delle importazioni di latte e derivati dal Nord Europa ed è stato per buona parte assorbito dall’aumento dell’export di prodotti Made in Italy, non causando quindi grosse ripercussioni sul mercato. Nei prossimi tre anni, questo trend di crescita potrebbe continuare, proiettando il nostro Paese verso l’autosufficienza produttiva rispetto al consumo, obiettivo mai raggiunto prima dal nostro Paese, che al contrario ha sempre sofferto grossi disavanzi nel rapporto tra importazione e produzione. Lo scenario rischia però di essere pesantemente condizionato dall’aumento spropositato dei costi di produzione per i produttori, che sta colpendo tutta Europa e che è legato a doppio filo alle speculazioni internazionali sulle materie prime, componenti essenziali per l’alimentazione del bestiame. Questi aumenti, che con tutta probabilità si protrarranno per tutto il 2022, rischiano di far chiudere i battenti a moltissime aziende produttrici, con il risultato quindi di portare a una significativa contrazione della produzione lattiero-casearia nazionale e comunitaria. Se da un lato, quindi, non ci preoccupa l’aumento della produzione nazionale, vista la possibilità di puntare su nuovi mercati grazie alla grande richiesta di produzioni Made in Italy, siano molto preoccupati per i possibili effetti derivanti dall’aumento dei costi di produzione, che si riversano soprattutto sui produttori, i quali continuano a vedersi riconoscere un prezzo del latte alla stalla inferiore di quello pagato nel lontano 1995, ovvero oltre 25 anni fa. Per tali ragioni, guardiamo con fiducia ai lavori del tavolo di filiera del settore lattiero-caseario convocato anche grazie alle forti sollecitazioni della Copagri, invitando tutti le parti in causa a fare ogni possibile sforzo per addivenire a un nuovo patto economico che preveda l’equa correlazione tra il prezzo al consumo e quello alla produzione.

La parola chiave è sostenibilità

Per Gianpiero Calzolari, Presidente di Granarolo S.p.A., l’aumento di produzione di latte ipotizzato dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, se ben gestito può essere un’opportunità di crescita del sistema agroalimentare nazionale. La sostenibilità può essere la chiave per valorizzare gli esempi virtuosi di cui è ricca la filiera del latte italiana, ma i costi di questa transizione non possono essere a totale carico degli allevatori. Se non accompagneremo l’aumento produttivo con l’allargamento dei mercati di sbocco rischiamo di trasformare un’opportunità in un grosso problema. Per difendere le peculiarità del latte italiano può essere venuto il momento di mettere sul piatto una OCM LATTE, sulla scorta di quanto avviene per il comparto ortofrutta. È uno strumento che può costituire una leva per un’azione più incisiva nel tavolo di confronto di filiera e che può assicurare programmazione produttiva e diffusione capillare dell’innovazione per una veloce transizione ecologica e digitale.

Etichettatura obbligatoria dell’origine per garantire trasparenza

Coldiretti ricorda che l’Italia produce solo l’80% di latte rispetto al fabbisogno interno. È da qui che bisogna partire per comprendere l’aumento di produzione che c’è stato dal 2015, anno della fine del regime delle quote latte a livello europeo. L’aumento della produzione quindi risponde a esigenze di autoapprovvigionamento e le stime fatte da Ismea per i prossimi tre anni indicano un trend ancora in crescita, che andrà a sostituire il latte straniero di importazione. Da questo punto di vista l’etichettatura obbligatoria dell’origine per latte e formaggi in Italia rappresenta uno strumento fondamentale di trasparenza verso i consumatori. Un obbligo che ora è necessario estendere a tutta Europa, come previsto anche dalla strategia Farm to Fork. La principale minaccia che mette a rischio il sistema degli allevamenti italiani ed europei è costituita dall’aumento esponenziale dei costi dell’energia e di conseguenza di tutti i fattori produttivi. Questi costi sono stati assorbiti per mesi dalle stalle senza scaricarsi sugli altri segmenti della filiera. C’è quindi la necessità di un maggiore equilibrio che potrà essere assicurato anche da una piena applicazione della Direttiva UE contro le pratiche sleali, che vieta di pagare i prodotti agricoli sotto il loro costo di produzione.

L’Italia raggiunge l’autosufficienza al 95%

È molto difficile fare previsioni a medio termine essendo molte le variabili che influenzano il prezzo del latte, perché in ambito mondiale la produzione in USA  e Nuova Zelanda sono in diminuzione e la domanda dai Paesi Asiatici sembra rallentare, spiega Bazzocchi Daniele, Direttore Consorzio Produttori Latte Soc. Agr. Coop. Centrale del latte di Cesena. L’impennata dei costi delle materie prime e dell’energia, che ha colto impreparato anche il nostro Paese, ha creato forti pressioni sulle aziende agricole, non sostenute da aumenti adeguati nei prezzi del latte alla stalla, ha portato molti produttori a ridurre la mandria e quindi le produzioni di latte. Ne è risultato un calo dell’offerta a livello mondiale, in alcuni Paesi più evidente a causa di maggiori vincoli ambientali. Le riduzioni nelle produzioni di latte nei principali Paesi europei sono state compensate dall’aumento in altri Paesi che storicamente producevano meno, tra questi l’Italia con produzioni in forte crescita che hanno portato alla sua autosufficienza al 95% nel terzo trimestre 2021. Complessivamente però nel 2021, l’Unione Europea ha prodotto meno latte rispetto al 2020, e la minore disponibilità di prodotto ha esercitato prezzi al rialzo sul prezzo del latte in Europa, che mantiene una tendenza in crescita. Nonostante l’aumento dei costi di produzione per gli allevatori, le quotazioni a loro riconosciute nell’ultimo trimestre del 2021 sono state in linea con quelle dell’anno 2017, dove i costi di produzione erano decisamente inferiori, il tutto per far comprendere il momento di estrema difficoltà. Non vanno meglio le aziende di trasformazione come la nostra cooperativa, che  si trova a subire aumenti considerevoli nei costi energetici, trasporti, imballaggi, e la difficoltà di adeguare i listini di vendita, soprattutto nei canali della GDO. Quindi con questa situazione di incertezza legata anche alla recrudescenza della pandemia che ha provocato forti tensioni nel mercato dei cereali e degli imballaggi, le incertezze sono superiori alle opportunità per il settore lattiero caseario nei prossimi 3 anni.

Necessità di prevedere un piano di revisione del settore

Il progressivo incremento dell’autosufficienza nazionale e, soprattutto, la minore disponibilità di latte di alcuni dei principali fornitori UE di materia prima hanno continuato a determinare un forte calo delle importazioni di latte in cisterna nei primi nove mesi del 2021 (-35% rispetto allo stesso periodo del 2020) attestandosi su circa 495.000 tons, praticamente un terzo dei quantitativi che si importavano nel 2014. La contrazione dei flussi in entrata ha riguardato soprattutto Germania, Austria e Francia. Visto lo sviluppo del settore degli ultimi anni, con aumento della produzione e il possibile raggiungimento dell’autosufficienza produttiva e le nuove sfide indicate dalla politica comunitaria e nazionale, si dovrà prevedere la riforma del settore verso nuovi modelli di produzione e nuove politiche commerciali, nonché sbocchi di mercato per collocare le produzioni e conseguire un’equa redditività ai produttori. Sarà, quindi, necessario analizzare attentamente i rapporti all’interno della filiera lattiero casearia, con particolare riferimento agli allevatori le cui produzioni non rientrano nei circuiti tutelati o che non aderiscono a cooperative. Confagricoltura è stata promotrice dell’istituzione di un Tavolo di filiera permanente al Ministero delle Politiche Agricole proprio per discutere con tutti gli attori della filiera sugli effetti della pandemia, del rincaro dei costi di produzione e le sfide future del settore nel collocare quella quantità di latte che permetterà all’Italia di raggiungere l’autosufficienza. Se non verrà improntata una politica di sviluppo futuro del comparto, il rischio sarà quello di crisi di mercato causate da surplus produttivi, minore competitività del prodotto italiano rispetto a quelli dei competitor esteri e rischio di invertire il trend di produzione positivo mantenendo la dipendenza da altri Paesi. A tal proposito sembra quanto mai opportuno incentivare dei meccanismi virtuosi di aggregazione dell’offerta tramite la formula cooperativa o altri modelli di aggregazione (reti d’impresa) per raggiungere l’obiettivo di avere una maggiore concentrazione dell’offerta e conseguentemente un maggiore potere contrattuale nei confronti della componente industriale. Le nuove esigenze dei consumatori (tutela dell’ambiente, del benessere animale, garanzie di salubrità degli alimenti) e quelle di mercato (volatilità, apertura degli scambi commerciali, competitività) devono far riflettere sulla necessità di prevedere un piano di revisione del settore per migliorare le strutture, la meccanizzazione, la professionalità degli operatori. L’era della digitalizzazione e robotizzazione coinvolge anche il settore agricolo e può portare un miglioramento dei sistemi produttivi e un controllo dei costi di produzione, per una sostenibilità ambientale ed economica. Sarà poi fondamentale creare nuovi sbocchi di mercato sia in relazione all’utilizzo delle componenti del latte per la produzione di prodotti food e non food, ad esempio nell’ambito della nutraceutica e della cosmesi, sia incentivando l’export grazie all’alto standard qualitativo e all’affidabilità delle produzioni italiane.

 

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