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La qualità dell’acqua impiegata nei processi produttivi influenza la qualità organolettica dell’alimento finito e la sua sicurezza, la durata e l’efficienza di impianti e attrezzature, i costi di manutenzione.

L’acqua è utilizzata nella produzione primaria, l’agricoltura e la zootecnia, per l’irrigazione e per l’abbeveraggio degli animali, nei processi produttivi dell’industria alimentare. Viene utilizzata come ingrediente, come acqua di processo per la detergenza e sanificazione, per il controllo delle temperature di processo e per il condizionamento degli ambienti. L’acqua utilizzata nell’industria alimentare deve essere sicura e per questo subisce trattamenti per eliminare patogeni e impurità. La qualità dell’acqua impiegata in un processo produttivo influenza la qualità organolettica dell’alimento finito e la sua sicurezza, l’efficienza del processo produttivo, la durata degli impianti e delle attrezzature, i costi di manutenzione.

La rete di distribuzione

Le aziende alimentari devono valutare la capacità dell’acqua che utilizzano a favorire processi corrosivi o la formazione di depositi, in grado di facilitare la crescita microbiologica, ridurre l’efficienza dei processi e aumentare i costi di manutenzione. La rete che distribuisce acqua potabile può essere sottoposta a fenomeni di corrosione e incrostazione correlati all’acqua stessa. Per questo, occorre prevedere il comportamento dell’acqua nella rete di distribuzione, conoscendo alcuni parametri, quali la durezza calcica, il contenuto di HCO- o CO2-, il contenuto di HCO3- o CO32- (alcalinità M o totale), il pH, la temperatura di pelle e la conducibilità. Questi parametri vengono usati per definire un indice numerico di stabilità (Langelier o Ryznar) grazie al quale si comprende se l’acqua tenderà a formare depositi di calcio carbonato o sarà aggressiva per i metalli. La prevenzione e il controllo dei fenomeni corrosivi, attraverso trattamenti con inibitori di corrosione, diminuisce i livelli di contaminazione batterica. Per garantire un’elevata qualità dell’acqua impiegata nell’industria alimentare è quindi necessario garantire l’assenza di incrostazioni e biofilm delle reti di distribuzione.

La qualità dell’acqua

La direttiva 98/83/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 31/2001 circa la qualità delle “acque destinate al consumo umano”, stabilisce le norme di qualità che devono soddisfare tutte le acque, trattate o non trattate, destinate a uso potabile, culinario o per la preparazione di cibi in ambito domestico, e tutte le acque utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o sostanze destinate al consumo umano, escluse quelle la cui qualità non può avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finale. La stessa direttiva, all’articolo 6, precisa che i parametri di qualità prestabiliti per le acque impiegate nelle imprese alimentari devono essere garantiti fino al punto di utilizzo. Il D.Lgs. 31/2001 stabilisce che il titolare dell’impresa alimentare è responsabile della qualità dell’acqua impiegata nel ciclo di produzione nel punto in cui l’acqua è utilizzata nell’impresa. Per acqua impiegata nel ciclo di produzione si intende sia quella usata come materia prima, sia quella per il processo, il lavaggio dei prodotti o dei macchinari. Ciò non significa che l’acqua deve essere “potabile” per tutti gli impieghi aziendali, ma solo per quelle fasi del ciclo produttivo nelle quali la sua qualità può avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finito (le acque tecnologiche non devono essere “potabili”). Il D.Lgs. 31/2001, nell’allegato 1 parte A, indica i parametri microbiologici (Escherichia Coli limite 0 ufc/100 ml ed Enterococchi limite 0 ufc/100 ml). Per acque destinate all’imbottigliamento sono previsti limiti più severi e un numero più ampio di parametri da rispettare (E. coli 0 ufc/250 ml, Enterococchi 0 ufc/250 ml, P. aeruginosa 0 UFC/250 ml, colonie 22°C 100 ufc/ ml e colonie 37°C 20 ufc/ml). Le industrie che impiegano l’acqua come alimento spesso adottano come criteri di qualità quelli dell’acqua destinata all’imbottigliamento. L’allegato 1 parte B indica, invece, i parametri chimici (Arsenico → limite massimo 10 µg/L, Piombo → limite massimo 10 µg/L, Nitrati → limite massimo 50 mg/L, Trialometani → limite massimo 30 µg/L, Ione clorito → limite massimo 700 µg/L secondo il decreto 6 settembre 2006).
L’allegato 1 parte C prende in considerazione i parametri indicatori. Può essere effettuata la ricerca concernente i seguenti parametri accessori alghe, batteriofagi anti E. Coli, elminti, enterobatteri patogeni, enterovirus, funghi, protozoi, Pseudomonas aeruginosa e Stafilococchi patogeni.
Inoltre, dice che in relazione ai parametri di pH, conducibilità, solfati e cloruri, indipendentemente dai loro limiti, l’acqua non dovrà essere aggressiva. Il ferro ha un limite massimo di 200 µg/L fissato per garantire le caratteristiche organolettiche dell’acqua, ridurre il rischio di formazione di depositi, facilitare il controllo microbiologico dell’acqua distribuita. Il manganese (limite massimo 50 µg/L) conferisce all’acqua un sapore sgradevole, può dar luogo alla formazione di depositi scuri nelle condutture e può alterare la colorazione dell’acqua. La cloro copertura è sempre consigliata, tanto che un residuo di disinfettante minimo di 0,2 mg/L è previsto dal decreto legislativo in questione.

 I trattamenti

AcquariempitivoI trattamenti delle acque per l’industria alimentare, quali addolcimento, scambio ionico, osmosi inversa, filtrazione, sono fondamentali e riguardano sia le acque primarie sia quelle di scarico, al fine di renderle idonee al contatto con gli alimenti e per i diversi processi tecnologici. Per questo devono essere rimossi microrganismi, inquinanti organici e inorganici, metalli, sali o gas in eccesso etc. L’acqua viene utilizzata per le operazioni di lavaggio e sanificazione degli ambienti e delle attrezzature o in diverse fasi del ciclo produttivo, ad esempio negli scambiatori, nella refrigerazione, ma anche come ingrediente.Le tecnologie e i trattamenti a disposizione per rendere l’acqua idonea in azienda sono diversi, tra cui: sistemi di filtrazione con membrana, a UV, scambiatori di ioni, dosatori di reagenti, trattamenti anticorrosione. La filtrazione con membrana si basa sull’utilizzo di membrane semipermeabili in grado di trattenere i solidi in sospensione e altre sostanze, separandole dall’acqua, senza ricorrere a prodotti chimici. Si tratta inoltre di un processo che avviene a basse temperature. La filtrazione con membrana può essere micro, ultra e nanofiltrazione e osmosi inversa. Il diametro dei pori delle membrane di microfiltrazione varia da 0,1 a 10µm. Con l’ultrafiltrazione si utilizzano membrane con pori di circa 0,002-0,1 µm in grado di rimuovere i microrganismi, compresi alcuni virus. Per la rimozione di sali dall’acqua si utilizzano la nanofiltrazione e l’osmosi inversa. Quest’ultima in particolare rimuove oltre il 99% del contenuto salino. Si tratta di una tecnica costosa. Le membrane vanno pulite periodicamente con lavaggi in corrente o in controcorrente, ad aria, con l’utilizzo di prodotti chimici e, se nel caso sostituite.Per abbattere la carica microbica delle acque vengono utilizzati anche i raggi UVC, senza alterarne le caratteristiche chimiche e organolettiche. La luce UV-C (2537 Å) altera il DNA dei microrganismi impedendone la replicazione. Grazie agli scambiatori di ioni si possono rimuovere sali dall’acqua, rendendola più dolce e/o deionizzata. Vengono rimossi in particolare gli ioni di calcio (Ca2+), magnesio (Mg2+) e bicarbonato (HCO3-) responsabili della formazione di incrostazioni negli impianti. Le resine per lo scambio ionico non sono in grado di asportare prodotti organici, virus o batteri.
L’industria degli alimenti e delle bevande utilizza molta acqua, sia come ingrediente sia per il lavaggio, il trasporto, il riscaldamento o il raffreddamento di ingredienti e prodotti. Si parla sempre di più di utilizzo sostenibile delle risorse idriche. In questo senso, le aziende alimentari adottano sistemi per riutilizzare le acque di processo. La produzione agricola utilizza l’acqua degli scarichi per l’irrigazione o per l’acquacoltura, l’acqua di raffreddamento può essere riutilizzata per operazioni di lavaggio, così come quella di trasporto per la produzione di ghiaccio, acqua calda o vapore, sempre nel rispetto degli standard qualitativi al fine di garantire la potabilità dell’acqua, anche a scopi di pulizia.

 L’utilizzo del vapore

L’acqua nell’industria alimentare viene utilizzata anche sotto forma di vapore direttamente o indirettamente a contatto con l’alimento. Il calore del vapore aiuta a eliminare potenziali contaminanti microbici, ma non possibili inquinamenti, derivanti dalla caldaia, dall’eccessiva presenza di sali nell’acqua, da fenomeni corrosivi sull’impianto, da eventuale microflora termoresistente. Le goccioline di vapore possono contenere solidi disciolti e sospesi presenti nell’acqua della caldaia che potrebbero contaminare gli alimenti o provocare danni agli impianti. Per questo è importante la generazione di vapore pulito, che dipende dalla caldaia, dall’acqua di alimentazione, dal sistema di distribuzione.

 L’acqua nella sanificazione

L’acqua è uno dei veicoli primari per la sanificazione all’interno del processo produttivo, presente nel prelavaggio, nelle soluzioni detergenti e disinfettanti, nel risciacquo intermedio e finale. Abbiamo visto che un’acqua non adeguata può portare alla formazione di calcare, corrosione, proliferazione di microrganismi, odori sgradevoli e retrogusti indesiderati. L’acqua non deve essere solo potabile, ma deve avere le caratteristiche ottimali per i diversi processi industriali, tra cui la sanificazione di ambienti e attrezzature.
La durezza è uno dei parametri per valutare la “bontà” dell’acqua da utilizzare durante i processi di sanificazione. Essa può essere temporanea quando i sali precipitano e formano calcare, oppure permanente se i sali rimangono disciolti. Un’acqua dura riduce l’attività dei prodotti detergenti e disinfettanti aumentandone il consumo, al fine di ottenere il risultato voluto. Il calcare inoltre ripara i microrganismi e rende le operazioni di disinfezione più complicate. Più l’acqua è dura, più il pH aumenta e deve essere tenuto sotto controllo grazie all’aggiunta di un acido, perché un pH alcalino potrebbe creare problemi di corrosione. Il calcare da solfato, così come quello da silicato non viene sciolto dagli acidi, e può essere evitato con l’utilizzo di appositi detergenti contenenti sequestranti. La loro presenza determina fenomeni di corrosione e la formazione di cattivi odori. Inoltre neutralizzano l’azione di alcuni agenti lubrificanti utilizzati in determinate attrezzature. Per tale motivo è consigliabile che i solfati siano inferiori a 30 mg/l e i silicati a 8 mg/l. Anche i colloidi devono essere tenuti sotto controllo perché favoriscono, tra l’altro, la formazione di biofilm e di depositi. La loro concentrazione deve essere inferiore a 1 mg O2/l.
Se l’acqua è troppo dura, ovvero superiore a 15 dF (gradi francesi, ovvero il contenuto di CaCO3 in un litro di acqua), va addolcita ad esempio con addolcitori a scambio ionico. In alternativa, in commercio ci sono detergenti dotati di potere sequestrante per prevenire la precipitazione del calcare, grazie a sequestranti, ovvero molecole che formano legami con gli ioni responsabili del calcare, quali calcio, magnesio, rame, ferro, formando complessi solubili, impedendo di conseguenza la formazione di depositi.

Stefania Milanello
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica

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