Abbiamo chiesto a Paola Battilani, docente di patologia vegetale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, di spiegare gli effetti del cambiamento climatico sulle patologie delle piante di interesse alimentare (e zootecnico) e i mezzi per affrontarle.

 

Partiamo parlando di micotossine, come agisce il cambiamento climatico sulla produzione di queste tossine?

L’effetto del cambiamento climatico non si può dare per scontato, perché la relazione fra le variabili coinvolte è molto complessa: ha infatti un impatto sulla coltura, sui patogeni ma anche sulla loro interazione e soprattutto sulla microflora presente sulle colture. Può accadere che si modifichino gli equilibri fra i diversi funghi o fra funghi e insetti in un modo difficile da prevedere. In merito alle aflatossine, c’è una ragionevole certezza che si vada verso un peggioramento della situazione. Sono prodotte da un fungo che più si avvantaggia più di altri (tra quelli di interesse per la produzione di micotossine) di elevate temperature e delle condizioni di siccità. Poiché andiamo verso un innalzamento delle temperature è evidente che sarà favorito perché tutti gli altri funghi, in simili condizioni, diventano meno competitivi. 

 

È un fenomeno limitato ad alcune aree geografiche?

Da un punto di vista generale si parla di un incremento delle tossine, favorito da un aumento della temperatura di +2/+3 °C, che è la situazione che oggi appare confermata. Di certezze ne abbiamo poche. Se non che andiamo verso un aumento della CO2 e della temperatura e verso eventi estremi (piogge forti o siccità). Questo ha certamente un impatto a livello di macro-aree, ma la stessa variabilità la si osserva anche su piccola scala: nell’ambito della stessa regione o fra località poco distanti fra loro. Nel 2003 si è avuto effettivamente su tutto il territorio del nord Italia un solo tipo di tossina dominante ma da allora è successo che in località anche vicine si sono avute più tossine presenti e la tossina dominante in un luogo era diversa da quella dominante in un altro. Il fenomeno si spiega appunto con l’interazione pianta-patogeno-ambiente su cui le condizioni meteorologiche e la loro variabilità hanno un impatto, differente fra gli anni ma anche nello stesso anno fra località.

 

Da qui si arriva alla tematica emergente della copresenza e del rischio tossicologico connesso...

Abbiamo appena concluso un progetto finanziato da EFSA sul risk assessment riguardante la copresenza di micotossine nei prodotti ad uso alimentare. Ad oggi i dati sull’impatto tossicologico su animali e su uomo delle diverse combinazioni di copresenza delle micotossine sono scarsissimi e non consentono di eseguire un risk assessment. Abbiamo però conferma, ottenuta grazie alle analisi eseguite sui biomarcatori, ovvero i fluidi biologici, che siamo effettivamente esposti a un pool di micotossine.

 

Cosa si sta facendo da un punto di vista di pratiche agricole?  

L’agricoltore si trova dinnanzi alla necessità di affrontare le difficoltà di anni con andamenti meteo molto diversi e soprattutto di situazioni di variabilità sul territorio su piccola scala. Due sono stati gli approcci principali: cercare di migliorare la gestione delle colture per renderle più resilienti, ovvero meno suscettibili allo stress, dal momento che si sa che i funghi micotossigeni sono particolarmente favoriti da condizioni estreme e di stress, e agire direttamente sui funghi tossigeni, nel rispetto dell’ambiente. 

Si è lavorato molto per redigere linee guida che supportassero gli agricoltori nella migliore gestione delle colture, con un’attenzione particolare ai costi, come pure nella fase di raccolta e post raccolta, un momento importante soprattutto per i cereali. In particolare, si è cercato di giustificare i suggerimenti operativi con spiegazioni, per aumentare la consapevolezza degli operatori e quindi la loro disponibilità a tenerne conto. Se, per esempio, lasciamo il mais in campo perché perda umidità per avere un costo di essicazione più basso, stiamo in realtà lasciando più tempo al fungo per produrre aflatossine.

Abbiamo lavorato dal 2003 anche sul biocontrollo di Aspergillus flavus, il fungo produttore delle aflatossine, ottenendo un prodotto con autorizzazione temporanea di impiego che dal 2016 è disponibile per gli agricoltori con ottimi risultati. 

 

Cosa si può dire sui modelli previsionali?

Usano i dati dell’andamento meteorologico come input e come output restituiscono il livello di rischio di avere colture contaminate al di sopra dei limiti di legge. Permettono all’agricoltore di ottimizzare le tecniche da implementare per ridurre il rischio. Possono anche essere usati per fare mappe di rischio del territorio (usando dati storici) oppure per avere previsioni future sulla tendenza di un certo fungo o tossina. 

 

Oltre alle micotossine quali altre patologie dobbiamo aspettarci?

Non ci sono, per ora, altre patologie così impattanti come quelle relative alle micotossine, almeno se ci riferiamo all’effetto diretto sulla salute del consumatore. Tutte le malattie però risentono del cambiamento climatico e la variabilità ha un importante impatto. Anche su piccola scala, e da un anno all’altro, si vedono grosse variazioni (alcune malattie sono preponderanti in un’annata e poi nella successiva ne emergono altre). Sono stati fatti alcuni studi per prevedere come cambierà l’importanza delle diverse malattie nelle colture, ad esempio sulla vite. Anche in questo caso è difficile fare una previsione, ma non possiamo escludere che l’andamento climatico possa di anno in anno dare spazio a patogeni diversi.

 

Pin It