Nella corsa che farà diventare l’Europa il primo continente a neutralità climatica entro il 2050 (il Green Deal Europeo), la strategia From Farm to Fork riveste un ruolo centrale perché porta l’attenzione sulla necessità di avere sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo il legame inscindibile fra la salute delle persone e quella del pianeta.
La filiera ittica, come quella agricola, dovrà accelerare il cambiamento. Nel 2013 la Politica Comune della Pesca (PCP), formulata per la prima volta nel trattato di Roma del 1957, si è rinnovata nel segno della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Oggi la UE ha come primario obiettivo la sostenibilità degli stock ittici, il rafforzamento della gestione della pesca nel Mediterraneo in collaborazione con tutti gli Stati costieri; per lottare contro le frodi servirà un sistema di tracciabilità rafforzato, anche con l’uso obbligatorio di certificati di cattura per impedire l'ingresso nel mercato dell'UE di prodotti ittici illegali. Entro il 2022, infine, dovranno essere rivalutate “le modalità con cui la PCP affronta i rischi derivanti dai cambiamenti climatici”.
Servono interventi strutturali importanti
Come ricordano anche i piani di sviluppo europei, da un punto di vista ambientale e di benessere animale è necessario promuovere e diversificare le tecniche di acquacoltura, per evitare l’eutrofizzazione dell’habitat circostante; da un punto di vista normativo promuovere la pubblicazione di linee guida per i produttori e addetti del settore sulla produzione sostenibile, ma anche formazione agli addetti e agli organi di controllo.
Sul fronte della qualità delle produzioni sarebbe necessario un sistema interno di riconoscimento della qualità del prodotto, che sia misurabile, a fronte di pratiche e sistemi di produzioni a valore aggiunto, afferma Valentina Tepedino, veterinaria specializzata nei prodotti ittici, che abbiamo intervistato per riflettere sulla situazione del mercato italiano. Le fa eco LegaCoop che auspica la registrazione di marchi di qualità, che impegnino l’allevatore ad applicare un disciplinare delle metodologie di produzione da un lato, con la certezza di vederlo riconosciuto dal mercato.
Nella ricerca di fonti proteiche di alto valore il pesce è tra le migliori alternative alle proteine della carne. Nella dieta italiana troviamo circa 25 kg di prodotti della pesca a testa ogni anno: leggermente al di sopra del livello medio di consumo dell’Ue, fermo a circa 23 kg a testa. Nonostante la generale buona reputazione nutrizionale del pesce, una migliore comunicazione e promozione potrebbero orientare gli acquisti e allargare il mercato ad altre specie meno note e meno acquistate. “Ci sono differenze di composizione notevoli fra le diverse specie di pesce, nota Tepedino; inoltre, mancano quasi totalmente anche le indicazioni sulle modalità di preparazione, che evitino perdite nutrizionali per cotture non adeguate”. Insomma, c’è ancora molto da comunicare per rilanciare i consumi e per permettere ai consumatori di fare scelte ragionate.
“Solo uno sforzo comune di tutti gli attori della filiera consentirà di superare le difficoltà del settore” ha dichiarato Angelo Petruzzella, Coordinatore nazionale del Dipartimento Pesca e vicepresidente di Legacoop Agroalimentare. “Le imprese stanno facendo la propria parte, ma anche le istituzioni devono fare uno sforzo di equilibrio tra gli interessi in campo, riducendo vincoli spesso inutili, sostenendo con forza l’innovazione per favorire il ricambio generazionale e riformando l’apparato amministrativo pubblico, centrale e periferico”. Un richiamo anche al ruolo della GDO: “Può dare un valido supporto all’imprenditoria della pesca italiana, valorizzando il prodotto locale per dare una risposta a un trend in crescita di consumo che chiede qualità e tipicità”, ha sottolineato Petruzzella, riconoscendo dell'acquacoltura sostenibile un settore chiave della blue economy “dalle potenzialità ancora inespresse”.
Francesca De Vecchi
Tecnologa Alimentare OTALL e divulgatrice scientifica