Parlare di sostenibilità delle filiere alimentari, oggi, significa spaziare in un ambito molto ampio di interventi, con azioni spesso complementari in tutte le attività e i processi di produzione “dal campo alla tavola”, come si dice.
Diminuire l’impatto di una delle filiere più redditizie dell’economia nazionale significa tra l’altro assolvere a un obiettivo stabilito dallo European Green Deal, l’ambizioso programma che dovrebbe rendere sostenibile entro il 2050 l’economia europea, portandoci a un Europa “senza emissioni nette di gas serra, con una crescita economica disaccoppiata dall'uso delle risorse e senza che regioni e popolazioni ovunque vengano lasciate indietro”.
L’agroalimentare italiano si inserisce quindi in un quadro complesso, e ri-parte da un presente ancora incerto a causa della pandemia da Covid-19, che ha però contribuito a cambiare la percezione dei consumatori verso i temi ambientali.
Cominciamo dall’anello finale dunque. Secondo l’indagine IBM Food Sustainability Study 2020 (Morning Consult e IBM), che ha coinvolto 3500 persone (in Usa ed Europa) fra cui 988 italiani, è chiara la tendenza verso i temi della salvaguardia ambientale nella scelte alimentari: vince ancora la provenienza del cibo, ma emerge una maggior consapevolezza nel pretendere da brand e retailer chiarezza e trasparenza dei processi con il supporto della tecnologia.
Per gli italiani in particolare, la provenienza locale (58%) e i cibi sani (45%) sono ancora più importanti di origine sostenibile o della riduzione degli sprechi. La pandemia ha però inserito delle variabili rilevanti e circa la metà degli intervistati ora è più interessata alla sostenibilità del cibo che acquista, con la Generazione Z in testa per l’attenzione a questi aspetti (55%).
I cibi da produzione responsabile però costano ancora tanto. Il prezzo è un ostacolo per il 42% degli europei. Gli italiani però sembrerebbero più frenati dalla scarsità di informazioni relative alla provenienza al momento dell’acquisto (35%): secondo la ricerca 3 italiani su 4, infatti, sono disposti a pagare anche il 5-10% in più del prezzo allo scaffale per poter disporre di cibi di origine sostenibile.
C’è attenzione anche per il rovescio della medaglia della produzione e cioè lo spreco alimentare, che trova sensibili il 75% degli intervistati italiani: sono soprattutto le donne (78%) e i millennial (80%) le categorie più impegnate a non sprecare. Inoltre, il 92% degli intervistati si dice più disponibile nell’acquistare gli alimenti presso supermercati che hanno progetti e iniziative riguardanti lo spreco alimentare.
E che dire della tecnologia? Quando si tratta di blockchain e tracciabilità degli alimenti sembra piacere di più. Sono ancora le donne (3 su 5) e i baby boomers (63%) a ritenere un valore i metodi di tracciabilità dei cibi, perché permettono di garantire l’autenticità dei prodotti, fornendo informazioni certificate su provenienza, freschezza e processo di lavorazione.
Di fronte a questo scenario l’agroalimentare è chiamato a dare risposte convincenti.