Il costo annuale del cambiamento climatico ammonta in Europa a 36 miliardi di euro (dati Eurostat). Nella sola Italia, che è considerata un hotspot climatico (ovvero un Paese che si sta riscaldando più rapidamente di altri, registrando variazioni importanti in temperature e precipitazioni), si pagano ogni anno circa 5 miliardi di euro di danni.
Se ne è parlato recentemente in una conferenza dedicata appunto al tema “Inflazione climatica: quale futuro ci attende?” organizzata durante Sugep di Rimini. Francesca Petrini (presidente di CNA Agroalimentare), Fabio Del Bravo (direttore dei Servizi sviluppo rurale di Ismea), Luca Mercalli (meteorologo e divulgatore scientifico) e Serena Giacomin (meteorologa e presidente di Italian Climate Network) hanno dibattuto sul tema reso sempre più scottante dai conflitti internazionali, dalla recente pandemia, dalla crisi finanziaria e, soprattutto, dal cambiamento climatico.
Lo scenario è quello dell’incertezza diventata nuova normalità. Tutto ciò non può che riverberarsi nella filiera alimentare, che secondo l’indice IPCA nel 2023 ha registrato un’inflazione di ben +10,2%, pur senza subire fenomeni speculativi di rilievo. Gli effetti dei cambiamenti climatici sull’agricoltura hanno un impatto sia sul fronte dell’offerta (con riduzioni o perdite dei raccolti, aumento dei costi, diffusione di malattie e parassiti nuovi, calo della qualità), sia su quello della domanda (secondo stime di organizzazioni come la Fao, si verificano boom di richieste di prodotti alimentari proprio in quelle zone in cui l’aumento dei prezzi li rende inaccessibili).
La conclusione su cui concordano i relatori è che laddove restano fondamentali politiche di mitigazione del cambiamento climatico, che tuttavia per essere efficaci devono vedere il coinvolgimento di tutti i paesi del mondo nella riduzione dei gas serra, per l’Italia è essenziale investire su strategie di adattamento, che sono adottabili a livello di comunità, di imprese e di singoli individui.