L’utilizzo di diverse fonti energetiche e di soluzioni per abbassare i consumi e, quindi, i costi energetici, contribuisce alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Per progettare e attuare politiche di carbon management efficienti è fondamentale la corretta misurazione dell’impatto climatico aziendale.
Nel 2050 la popolazione mondiale conterà circa 9 miliardi di persone, che necessiteranno del 70% di cibo prodotto in più rispetto ad oggi (dati FAO). Si consumerà l’11% in più di acqua per usi agricoli e si coltiveranno 120 milioni/ettari in più nei paesi in via di sviluppo. L’impatto sul clima e sulle risorse naturali, se non si penseranno a strategie per migliorare l’efficienza dei processi produttivi, aumenterà ulteriormente. L’industria alimentare italiana deve pensare ad azioni per la sostenibilità ambientale che riguardano l’approvvigionamento sostenibile, la riduzione delle emissioni, i materiali per gli imballaggi e la loro corretta gestione nel post-utilizzo, e la prevenzione degli sprechi. L’utilizzo di diverse fonti energetiche e di soluzioni per abbassare i consumi e, quindi, i costi energetici, contribuisce alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Il consumo di energia associato a 1 kg di cibo pronto varia in relazione al tipo di alimento, alle tecniche di coltivazione e trasformazione e al trasporto. Il D.L. n. 83 del 22 giugno 2012 “Decreto Sviluppo” classifica le aziende in base all’incidenza del costo energetico sul fatturato, oltre che sulla base minima di consumi energetici. Secondo il Decreto le imprese a forte consumo energetico sono quelle che utilizzano almeno 2,4 GWh di energia elettrica oppure almeno 2,4 GWh di energia diversa da quella elettrica e sono caratterizzate da un rapporto costo effettivo dell’energia e fatturato uguale o superiore al 3%. Le aziende alimentari sono in genere molto energivore. Il consumo di energia termica ed elettrica è legato ai processi produttivi, per generare calore per la stabilizzazione e conservazione degli alimenti, la produzione di acqua calda e vapore per lavaggi, i trattamenti di pastorizzazione/sterilizzazione, il funzionamento degli impianti di produzione del freddo, i compressori e i altri macchinari. Molte aziende alimentari utilizzano ancora oggi macchinari alimentati da combustibili fossili ed elettricità. L’adozione di misure di efficientamento energetico da parte dell’industria alimentare non solo diminuisce gli impatti ambientali dell’azienda stessa, ma contribuisce a ridurre in maniera significativa i costi energetici, aumentando la marginalità aziendale.
Diagnosi energetica
Per operare degli interventi specifici volti alla riduzione dei consumi e dei costi di produzione, le aziende alimentari sono chiamate a valutare il loro livello di efficienza energetica complessiva. Attraverso la cosiddetta diagnosi energetica è possibile definire il bilancio energetico dell’azienda, valutare la fattibilità tecnica e la convenienza economica degli interventi di riqualificazione possibili, valutare le opportunità tecniche ed economiche e ridurre le spese di gestione. Per fare questo occorre raccogliere tutte le informazioni relative ai consumi e analizzare lo stato degli impianti e dei processi, al fine di individuare eventuali criticità presenti. Il Decreto Legislativo 4 luglio 2014 n. 102 ha reso la diagnosi energetica obbligatoria per le imprese di grandi dimensioni e per quelle a forte consumo di energia. Possono essere esonerate dall’obbligo di eseguire la diagnosi energetica le aziende che hanno adottato un sistema di gestione volontaria (es: EMAS, ISO 50001, EN ISO 14001). È però essenziale che la certificazione includa un audit energetico realizzato in conformità con i criteri elencati nell’Allegato 2 del D.Lgs. 102/2014. Anche per le PMI non è obbligatorio eseguire l’audit, ma sono previsti dei contributi di cofinanziamento tra Ministero e Regioni, che incentivano i piani di adozione dei sistemi di gestione volontaria o la diagnosi energetica. Dal 2016, solo società di servizi energetici ESCO (Energy Service Company), Esperti in Gestione dell’Energia e Auditor Energetici certificati possono eseguire le diagnosi in conformità alle UNI CEI 11352 e UNI CEI 11339.
Soluzioni di efficientamento energetico
Nell’industria alimentare una delle operazioni da compiere per migliorare l’efficientamento energetico è la sostituzione di generatori vecchi ed energivori e l’installazione di nuovi impianti che consentano il recupero del calore, siano efficienti e performanti, assicurino durata e produzione di calore a basso consumo energetico. I moderni generatori di vapore assicurano performance più elevate rispetto agli impianti più datati. Generatori a gas o gasolio assicurano un elevato rendimento stagionale, ridotte emissioni inquinanti, recupero dell’energia termica contenuta nei fumi di scarico e risparmio sui consumi energetici. Inoltre, l’installazione di dispositivi per il recupero dell’energia, come, ad esempio, un economizzatore o un condensatore consente di aumentare il rendimento dell’impianto fino al 5%, grazie al recupero dell’energia termica che altrimenti andrebbe dispersa nei fumi di scarico. L’economizzatore va installato all’uscita del generatore di vapore e permette di sfruttare il calore dei fumi per preriscaldare l’acqua di alimentazione della caldaia. Il condensatore, invece, va installato a valle dell’economizzatore per un secondo stadio di recupero termico. L’effetto di condensazione dei fumi permette di sfruttare al massimo il contenuto termico residuo del gas, con un aumento del rendimento di sistema di circa il 7%. Ad aumentare l’efficienza del generatore è anche la presenza di isolamento in fibra ceramica e/o lane di roccia, esteso anche alla cassa fumi, alle porte anteriori e agli allacciamenti idraulici, per evitare perdite termiche. La qualità dell’acqua in caldaia deve essere assicurata da un addolcitore o un degasatore termico.
Non solo energia termica: l’industria alimentare utilizza molta energia elettrica, per l’illuminazione, la climatizzazione, i compressori e altre macchine. L’utilizzo di fonti energetiche alternative è sempre più gettonato, anche grazie all’installazione di impianti fotovoltaici, che sfruttano l’energia solare per produrre corrente elettrica. Gli accumulatori ad alta efficienza consentono l’utilizzo di energia anche quando non c’è apporto solare.
Gli impianti di cogenerazione e trigenerazione possono essere sfruttati al meglio dalle aziende alimentari per la produzione contemporanea di energia termica, sotto forma di acqua calda/vapore, ed energia elettrica. La trigenerazione (CCHP - Combined Cooling, Heating and Power), oltre a produrre energia elettrica, permette di usare l’energia termica anche per produrre energia frigorifera per processi industriali o di climatizzazione degli ambienti, tipici dell’industria alimentare. Un impianto di trigenerazione funziona grazie a un generatore a gas che produce calore ed elettricità. Il calore di scarico viene trasportato nel refrigeratore ad assorbimento, per produrre, nella maggioranza dei casi, acqua refrigerata. È possibile utilizzare diversi tipi di combustibile: gas metano o biogas, diesel o biodisel e biomasse. Il principale limite degli impianti di trigenerazione è il costo. È possibile però finanziare in parte le soluzioni di efficientamento energetico grazie alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa, che prevede sgravi fiscali e incentivazioni, tra i quali: tariffe onnicomprensive per le elettriche rinnovabili, titoli di efficienza energetica, detrazioni IRPEF, Conto Termico.
L’importanza di misurare l’impatto climatico
La misurazione dell’impatto climatico aziendale, la cosiddetta Corporate Carbon Footprint, è diventata fondamentale nel percorso di crescita delle imprese verso la sostenibilità. Per farlo, occorre raccogliere una serie di dati e analizzarli per identificare le azioni necessarie per migliorarla. L’impatto climatico è misurabile in modo quantitativo nel tempo tramite il calcolo della CO2e. Attraverso la misurazione dell’impatto climatico, le aziende possono comprendere la situazione attuale, progettare e attuare politiche di carbon management e contribuire a comunicare il proprio impegno in tema di sostenibilità ambientale. Il documento “Misurare l’impatto climatico aziendale: come ottenere dati strutturati e affidabili”, di GS1 Italy, si è occupato di dare un supporto concreto alle aziende sul tema della misurazione dell’impatto climatico aziendale. Nel documento si fa notare che la quantificazione e il monitoraggio delle emissioni di CO2e presentano diverse complessità, a partire da una corretta definizione del perimetro di rilevazione, alla raccolta e normalizzazione dei dati, fino alla metodologia di calcolo vera e propria, che sia facilmente ripetibile nel tempo, da applicare per arrivare al risultato finale. La pubblicazione vuole essere un manuale pratico che, grazie al contributo di alcune aziende, sintetizza i principali ambiti da considerare per impostare una raccolta dati strutturata. La pubblicazione mette l’accento sul fatto che: “La quantificazione della Carbon Footprint sta acquisendo un’importanza sempre maggiore per le aziende ed è un tema considerato al giorno d’oggi d’interesse prioritario per diversi motivi. Essa consente di valutare l’impatto sul riscaldamento globale delle attività aziendali e quindi la performance ambientale, pianificare strategie di riduzione realistiche in linea con i cosiddetti ‘Science Based Targets’ (SBTs) e monitorarne gli effetti. Il reporting ambientale si è ormai affermato come strumento abilitante nella dimostrazione dell’impegno, degli obiettivi e dei risultati che un’azienda assume sul tema”.
Stefania Milanello
Esperta in impianti alimentari e divulgatrice scientifica