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Il calo del prezzo del gas in Europa da fine 2022 è una notizia estremamente positiva per l’economia italiana e quelle europee. Se grazie a tale ribasso l’inflazione scendesse istantaneamente, lo scenario economico potrebbe considerarsi normalizzato.

Ma nell’economia esistono talvolta dei lag nelle relazioni di causa ed effetto tra le diverse variabili.

Uno dei ritardi principali, sebbene mutevole nella sua lunghezza per la continua evoluzione dei sistemi economici, è quello relativo alla trasmissione delle variazioni nei prezzi internazionali dell’energia ai prezzi al consumo. Il gas sceso a circa 50 euro/mwh, dagli oltre 330 del picco giornaliero nel 2022, ha certamente agevolato la discesa dell’inflazione. Ma siamo solo all’inizio della moderazione dei prezzi al consumo, sia in Italia che nell’Eurozona, e il processo richiederà tempo.

Come la legna accesa continua ad ardere per un po’ anche se non viene più alimentata, l’inflazione resta alta per alcuni mesi anche quando viene meno la causa originaria della sua impennata. Solo nel 2024, secondo le previsioni di quasi tutte le maggiori istituzioni internazionali, l’inflazione totale tornerà più vicina alla soglia del +2% annuo, cui aspirano le banche centrali. Questo significa che in tutto il 2023 faremo ancora i conti con un’inflazione alta sebbene in rientro.

Se l’aumento dei prezzi al consumo entrasse pienamente nelle aspettative di medio termine degli agenti economici, tanto da innescare una spirale prezzi-salari, la durata del processo inflazionistico si allungherebbe ancora di più. Anzi, si rischierebbe di non vedere affatto una discesa dell’inflazione totale, neanche con il ritardo che oggi stiamo scontando. Tale rischio è molto contenuto in Italia e in Europa, meno negli USA.

Tassi in rialzo, freno all’economia

Finora i tassi nell’Eurozona sono saliti di +3,5 punti in appena 9 mesi. Per confronto, nella fase di rialzi BCE del 2005-2006 il tasso impiegò oltre 2 anni per salire di circa 3,0 punti. Intanto, le attese di inflazione a 12 mesi nell’Eurozona sono scese al +2,7% a febbraio scorso, non lontano dalla soglia di stabilità, da un picco di +7,5% ad agosto 2022.

Le banche centrali occidentali hanno iniziato ad alzare i tassi quando l’energia era molto cara e stava infiammando l’inflazione (a luglio 2022 la BCE, qualche mese prima la FED) e stanno continuando ad alzarli anche ora che i prezzi di gas e petrolio sono rientrati.

Qui entra in gioco il problema delle aspettative e della lentezza con cui scende l’inflazione. I banchieri centrali vogliono stroncare del tutto la fiamma, per evitare che si propaghi al fienile e così lo scenario economico deve fare i conti non solo con tassi così alti ma anche con la possibilità che i rialzi proseguano.

Ma se il loro livello sale troppo nell’Eurozona, che è un’unione monetaria e non un Paese federale, può determinare rischi maggiori che negli USA (frammentazione, instabilità finanziaria), anche oltre il freno posto alla crescita economica. Dopo le ultime decisioni della BCE, i rischi appaiono più bilanciati.

Italia: crescita modesta

Secondo le previsioni del CSC, l’andamento del PIL italiano nel 2023 (+0,4%) è in netto rallentamento rispetto alla media del 2022. Ma è più favorevole di quanto ipotizzato appena qualche mese fa, quando si prevedeva una variazione annua nulla dell’economia italiana. Nel 2024, invece, grazie al rientro dell’inflazione, alla politica monetaria meno restrittiva e alla schiarita nel contesto internazionale, si registrerà una dinamica migliore anche in Italia (+1,2% annuo).

La revisione al rialzo per il 2023 rispetto allo scenario CSC di ottobre scorso (di +0,4 punti), è spiegata interamente dall’andamento migliore delle attese nella seconda metà del 2022, nonostante lo shock energetico: ciò ha alzato l’eredità positiva lasciata al PIL del nuovo anno. In particolare, nel 4° trimestre 2022 l’Italia ha limitato al minimo l’aggiustamento al ribasso.

Il sentiero del PIL, però, non è rettilineo: si stima che l’economia italiana abbia subito ancora una lieve contrazione nel 1° trimestre 2023, a causa soprattutto degli effetti ritardati dell’inflazione sui consumi e di una pausa degli investimenti dopo il balzo a fine 2022. Dalla seconda metà del 2023, l’attenuazione delle pressioni inflazionistiche e una limatura ai tassi di interesse dovrebbero favorire una dinamica positiva del PIL fino alla fine del 2024. Un profilo di crescita moderato, ma superiore, di poco, alla media pre-crisi grazie ai primi effetti positivi di investimenti e riforme del PNRR sul potenziale di espansione della nostra economia.

Consumi e investimenti rallentati nel 2023

I consumi delle famiglie italiane rimarranno quasi fermi in media nel 2023 (+0,2%), al di sotto del trascinamento ereditato grazie alla buona dinamica nella parte centrale del 2022. Anno in cui il reddito disponibile reale ha limitato i danni, nonostante il balzo dell’inflazione ed è stato utilizzato gran parte dell’extra-risparmio spendibile, lasciando poche risorse al 2023.

Quest’anno, inoltre, i tassi più alti per mutui casa e credito al consumo giocheranno contro la spesa per beni e servizi. Solo in seguito, sulla scia della lenta discesa dell’inflazione e, quindi, di un recupero del reddito reale, i consumi torneranno a crescere, dalla seconda metà del 2023 e, con più slancio, nel 2024.

Anche gli investimenti totali sono previsti crescere poco nella media del 2023. I motivi sono il ripiegamento delle agevolazioni fiscali in campo edilizio e l’impatto delle condizioni di finanziamento più stringenti. Il dato annuo nasconde, come per i consumi, un avvio molto debole del 2023 e una successiva ripresa, che poi proseguirà più speditamente nel corso del 2024. Ma i ritmi resteranno molto sotto la grande vivacità registrata nel 2022, legata proprio al boom degli investimenti in costruzioni.

 

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