Un approfondimento sulle ricadute sull’agrifood italiano dei dazi minacciati dalla presidenza USA. Lo scenario che ci aspetta secondo Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma e i molti prodotti più a rischio che hanno il mercato degli Stati Uniti come sbocco principale o prioritario.
L’Italia trema: con oltre 67 miliardi di euro di prodotti agroalimentari esportati, siamo nella top ten degli exporter mondiali. E possiamo vantare una crescita costante negli anni e un aumento dell’8% delle vendite all’estero nel solo 2024. E questo mentre altri paesi facevano meno, come Germania e Spagna o molto meno, come la Francia (+0,7%).
Quale scenario ci aspetta di fronte ai paventati dazi americani? “Al di là della strategia geopolitica condotta dalla nuova amministrazione statunitense alquanto difficile da interpretare, l’applicazione di dazi aggiuntivi sulle importazioni europee sembrerebbe discendere in primis dalla volontà di riequilibrare la bilancia commerciale statunitense che, in merito alle merci scambiate, risulta sensibilmente in deficit per molti paesi. Nel caso dell’Unione Europea tale deficit ammonta ad oltre 200 miliardi di dollari, ma tende ad azzerarsi se, unitamente alle merci, si contabilizzano gli scambi di servizi, i cui flussi di scambio sono invece a favore degli Stati Uniti. In tutto questo, l’applicazione di ulteriori dazi (minacciati da Trump fino al 200% per i vini) rischia di generare rilevanti impatti nell’export agroalimentare italiano che, tra tutti i paesi Ue, risulta il più esposto sul mercato statunitense, con un 12% del valore totale” – prosegue il Responsabile Agroalimentare Nomisma.
I prodotti più a rischio…
…comprendono una lista assai lunga e variegata perché sono moltissimi quelli che hanno gli Stati Uniti come principale mercato estero di sbocco. “In termini di incidenza sulle relative vendite oltre frontiera, si va dal 72% dell’export di sidro, al 57% di Pecorino Romano e Fiore Sardo DOP; dal 48% dei vini bianchi DOP del Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, al 40% di quelli rossi toscani DOP. Anche per l’olio extravergine di oliva italiano gli USA hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export a valori, e così a scendere per il 30% nel caso degli aceti e il 28% per le acque minerali. Meno esposti risultano invece il Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che comunque pesa per il 17% del valore dell’export congiunto di questi due formaggi” – sottolinea Pantini.
Differenze geografiche
L’impatto non sarà lo stesso evidentemente per le varie regioni. Secondo il responsabile Nomisma al primo posto tra le regioni più esposte ai dazi c’è “la Sardegna, dove si produce oltre il 90% del Pecorino Romano DOP, il cui export agroalimentare finisce per il 49% proprio negli Stati Uniti; e ci ricade anche il 74% dell’export dei prodotti lattiero-caseari isolani”. Segue la Toscana con il 28% del proprio export agroalimentare diretto oltreoceano, “con l’olio in pole position (42%) e i vini (con il 33%)”. Ma negli Stati Uniti approda anche il 58% dell’export di olio del Lazio, così come il 28% delle esportazioni di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% di quelle di vini campani. “Considerando le diverse aree del nostro Paese, sono le esportazioni agroalimentari del Centro e del Sud Italia a rischiare di più a seguito dell’applicazione dei dazi di Trump”– conclude Pantini.
A questo link l’intervista completa