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L’undicesima giornata nazionale contro lo spreco alimentare è l’occasione per fornire qualche informazione e dato in più su questa delicata e importante questione e capire quanto la consapevolezza di un impegno per la riduzione degli avanzi inutilizzati si stia diffondendo tra gli italiani.

Il modo migliore per farlo è ricorrere ai dati dell’Osservatorio Too Good To Go, in collaborazione con l’Università di Torino, l’Università di Roma Tre e Bain & Company Italia, uno studio che indaga appunto in profondità il tema dello spreco alimentare coinvolgendo consumatori ma anche le realtà del pubblico esercizio e della grande distribuzione.

Il rapporto è liberamente scaricabile a questo link https://www.toogoodtogo.com/it/initiative/osservatorio-spreco-alimentare Qui ci limitano alle principali evidenze ma, prima di tutto, vale la pena partire da una definizione che faccia chiarezza su quel che si intende quanto si parla di spreco alimentare.
Per la FAO, si tratta dello “scarto intenzionale di prodotti commestibili, soprattutto da parte di dettaglianti e consumatori” ed è dovuto al comportamento di aziende e privati. Se al concetto di spreco si unisce quello di “perdita di cibo”, ovvero la “riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano che deriva da inefficienze nella catena di approvvigionamento: infrastrutture e logistica carenti, mancanza di tecnologia, competenze, conoscenze e capacità gestionali insufficienti” si calcola che oggi il 40% del cibo prodotto venga sprecato.
Le conseguenze economiche sono impressionanti: 2.600 miliardi di euro sprecati ogni anno e ripercussioni anche ambientali, dato che lo spreco è poi responsabile del 10% dei gas serra emessi a livello globale.
A livello europeo, si stima che l’11% dello spreco avvenga nella fase di produzione, il 19% nella lavorazione, il 5% nella distribuzione e retail, il 12%tra gli esercenti commerciali e il restante 53% è imputabile all’ambiente domestico (EU fusions, 2016).
Passando alla situazione nazionale, il rapporto Too Good To Go segnala che il 36,6% dello spreco avviene durante la fase di produzione, il 3,1% in quella della trasformazione, il 13,5% nella distribuzione, il 3,8% nella ristorazione e il 43% nel consumo domestico (Politecnico di Milano e Fondazione Banco Alimentare Onlus, 2020).

I consumatori

Entrando più in dettaglio nelle abitudini delle persone il report parte da una notizia positiva, ossia che la maggior parte dei consumatori dimostra di essere consapevole del problema e mostra atteggiamenti positivi verso cambiamenti delle proprie abitudini di consumo e alimentari. Tuttavia, la maggior parte tende ad essere indulgente con i propri comportamenti: il 24% dichiara di non sprecare mai cibo, mentre il 52% di sprecarne meno di 250 gr settimanali.
Ci sono degli stratagemmi che il report segnala come utili per migliorare le abitudini, come avere un minimo di strategia di pianificazione degli acquisti e, poi nella fase di conservazione degli alimenti, utilizzare la congelazione per prolungarne la durata. In ogni caso, dall’indagine emerge che i consumatori mostrano attenzione alla data di scadenza e non si limitano a gettare categoricamente un alimento scaduto, bensì si accertano del suo effettivo stato.

Abitudinidispesa

Tra le pratiche antispreco adottate, quella più diffusa consiste nell’acquistare prodotti che si avvicinano alla loro data di scadenza a un prezzo scontato (66,89%). Al contrario, pratiche come cucinare ricette con gli avanzi alimentari (53,87%) e la condivisione di cibo (51,70%) sono adottate con minor frequenza. Le diete personalizzate (45,32%) e la prenotazione di cibo online direttamente dai produttori (40,13%) sono pratiche poco comuni.

Praticheantispreco

I pubblici esercizi

Per quanto riguarda il settore ristorativo, la media globale di spreco alimentare ammonta a 32 kg pro capite all’anno (UNEP, 2021). Globalmente, è il terzo più grande produttore di spreco dopo il consumo domestico e le imprese di trasformazione alimentare (FAO, 2019). Anche a livello Europeo: secondo recenti stime, nel 2020 la quantità totale di rifiuti alimentari misurata ammontava a quasi 59 milioni di tonnellate di massa fresca. Tra questi, i ristoranti e i servizi di ristorazione hanno contribuito con oltre 5 milioni di tonnellate, corrispondenti al 9% del totale dei rifiuti alimentari (ESTAT, 2023).
Nella fase “pre-cucina” una delle principali cause dello spreco dipende dall’eccessivo approvvigionamento che comporta il deterioramento degli alimenti nel caso in cui questi non vengano utilizzati; nella fase della cucina le principali cause sono la sovrapproduzione, gli scarti di preparazione, la scadenza e il deterioramento degli alimenti. Come evidenziato da un recente studio, oltre il 70% del cibo viene sprecato prima ancora di raggiungere i piatti dei clienti, quindi è in quelle fasi che bisogna intervenire.
L’indagine ha evidenziato come gli esercenti intervistati siano consapevole dello spreco e anche della perdita economica che ne deriva. Tuttavia, la maggior parte non ha adottato alcun sistema di misurazione degli avanzi. In ogni caso, circa l’80% dichiara di impegnarsi nella riduzione degli sprechi, indicando come principali modalità di mitigazione l’utilizzo di app contro lo spreco alimentare, donazione ad amici e parenti, autoconsumo, riutilizzo e, per ultimo, la donazione a enti di beneficenza.

La grande distribuzione

La fase di distribuzione è responsabile solo per circa il 5% degli sprechi totali che avvengono lungo la filiera. Le inefficienze avvengono soprattutto per due cause: la gestione non efficiente del magazzino (nei casi in cui i prodotti non vengono tenuti alle giuste temperature o maneggiati in maniera non corretta), e le abitudini di acquisto dei consumatori, nel senso di difficoltà di prevedere i flussi di vendita finali. Come era facile immaginare le categorie merceologiche più soggette a spreco sono frutta e verdura, latticini e salumi e pane.
Lo studio evidenzia tutta una serie di misure che le catene della distribuzione portano avanti per ridurre efficacemente gli sprechi. In primo luogo, cita le donazioni ad enti sociali che sono cresciute moltissimo negli ultimi anni; poi le politiche di scontistica sui prodotti vicini alla scadenza; l’inserimento di software per migliorare il sistema degli approvvigionamenti e la previsione delle vendite; l’ottimizzazione degli scaffali e infine, anche politiche di sensibilizzazione verso questi temi.
Nonostante tutte queste misure certamente positive, lo studio segnala come la maggior parte delle aziende di distribuzione non disponga di un sistema di rendicontazione dello spreco alimentare che consenta di quantificare quantità e tipo di cibo sprecato in un preciso lasso temporale.

 

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