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Una grave minaccia per la salute degli ecosistemi e la sicurezza alimentare. Le microplastiche rilevate nei muscoli degli animali molto probabilmente sono state ingerite dai pesci e poi sono traslocate dall’apparato gastro-intestinale ai tessuti circostanti.

Gli oceani sono spesso il punto di arrivo dei rifiuti di plastica che non sono stati fermati negli impianti di trattamento delle acque reflue; frammentati in piccole particelle, entrano nell’ecosistema marino e mettono a rischio tanto la fauna acquatica quanto la sicurezza della catena alimentare. Per questo motivo, i polimeri e gli additivi utilizzati nella produzione delle plastiche sono fra i contaminanti sempre più monitorati per le ricadute in termini di salute umana. Le microplastiche (MP) e le nanoplastiche (NP), polimeri plastici dell’ordine rispettivamente fra 0.1-5000 μm e <0,1 μm, sono oggetto di studi sempre più strutturati, perché sono numerosi i quesiti ancora aperti. Preoccupa oggi la loro diffusione nell’ambiente e in particolare nei bacini idrici e nel mare per l’interazione con l’ambiente acquatico (flora e fauna) e per il pericolo che entrando nella catena alimentare arrivino nel nostro piatto. La dieta è infatti una delle principali fonti di esposizione a numerosi contaminanti, MP comprese.

Le MP rappresentano, insomma, una grave minaccia per la salute degli ecosistemi e quindi per la sicurezza alimentare. Il Mar Mediterraneo, bacino semi-chiuso densamente popolato e con elevato traffico marittimo, è particolarmente vulnerabile a questo tipo di inquinamento. È infatti una delle aree più colpite a livello globale. Qui, le particelle di plastica sono state trovate in acqua, ma anche nei sedimenti e negli organismi che lo abitano (Llorca et al., 2020). Tra l’altro i frammenti di plastica dispersi in mare, per il fatto che si presentano spesso di colori sgargianti, nonché per la loro galleggiabilità, divengono appetibili: sono, infatti, spesso scambiati come potenziali alimenti e quindi ingeriti.

Le MP identificate nelle ricerche fino ad oggi svolte nei pesci del Mediterraneo appartengono principalmente a due categorie:

  • frammenti di plastica: provengono da oggetti di plastica più grandi che si frammentano nel tempo;
  • fibre tessili: derivano principalmente da abiti e tessuti sintetici (il 35% di tutte le MP a livello globale si origina dal lavaggio degli indumenti in fibra sintetica).

Oltre alla quantità, è importante analizzare la qualità dei residui di MP per valutare i potenziali rischi per la salute dei pesci e degli esseri umani. Una delle caratteristiche delle MP ingerite dai pesci è quella di accumularsi nei loro tessuti, causando danni fisici e alterazioni del sistema immunitario. MP sono state rilevate in diversi organismi marini, tra cui pesci, zooplancton, bivalvi, tartarughe, uccelli marini, capodogli e altri animali. Diversi studi che risalgono a oltre una decina di anni fa lo hanno riportato ((De Stephanis et al., 2013; Eriksson e Burton, 2003; Wright et al., 2013; Cole et al., 2013; Farrell e Nelson, 2013). Le prime rilevazioni si sono concentrate sull’apparato digestivo, ma successivamente MP hanno cominciato a essere rilevate nei tessuti di muscoli e fegati (Abbasi et al., 2018). Negli animali acquatici le MP ingerite provocano occlusione dopo l’ingestione; rilasciano gli additivi e i monomeri di cui sono composte; possono veicolare microrganismi patogeni ma anche inquinanti organici persistenti idrofobici e metalli pesanti assorbiti sulla loro superficie, che rappresentando un’ulteriore via di esposizione ad azione tossica per la fauna marina.

Il pericolo è poi quello del bioaccumulo nella catena trofica, che rende i pesci predatori e i grandi mammiferi acquatici più suscettibili rispetto a quelli più in basso nella catena alimentare. Dal danno biologico per gli animali al rischio di esposizione per la salute umana, il nesso è evidente (Journal of Sea research, 2023). Le microplastiche sono dunque un serio problema ambientale che sta colpendo gli ecosistemi marini in tutto il mondo, soprattutto quello mediterraneo e le ricadute interessano anche la filiera alimentare.

La ricerca

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Una ricerca pubblicata sul Journal of Sea Research e condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo in collaborazione con il Croatian Veterinary Institute di Spalato e l’Università Politecnica delle Marche (con il supporto finanziario dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane, UNCI) si è concentrata sul livello di contaminazione da microplastiche in due specie di pesce comuni nel Mediterraneo: il pesce spada (Xiphias gladius), pescato nel Mare Ionio, e il tonno rosso (Thunnus thynnus), proveniente dall’Adriatico, con la particolarità che sono state usate metodologie mai applicate prima nei muscoli dei pesci, quindi, nella parte che effettivamente viene consumata (“Detection of microplastics, polymers and additives in edible muscle of swordfish (xiphias gladius) and bluefin tuna (thunnus thynnus) caught in the mediterranean sea” di Giacinto et al., 2023).

Lo scopo è stato quello di quantificare in cinque esemplari di pesce spada e cinque di tonno le MP, il polietilene tereftalato (PET), il policarbonato (PC), il bisfenolo A (BPA) e l’acido ptalico (PTA) nel muscolo edibile degli esemplari catturati nel Mar Mediterraneo. Molti studi precedenti, secondo Federica Di Giacinto, ricercatrice del Centro per la Biologia delle acque dell’IZS Teramo, avevano valutato la presenza di MP solo nell’apparato digerente. Questo lavoro invece ha potuto evidenziare la contaminazione a livello muscolare non solo da microplastiche, ma anche da polimeri e additivi usati per la produzione di plastiche in generale.

“Le microplastiche che abbiamo rilevato nei muscoli”, ha dichiarato la ricercatrice, “molto probabilmente sono state ingerite dai pesci e poi sono traslocate dall’apparato gastro-intestinale ai tessuti circostanti”. Anche se non è noto ancora il meccanismo in base al quale avviene il trasferimento, si è abbastanza sicuri che un fattore determinante sia la misura inferiore a 10 μm (per valori superiori non c’è passaggio). Mediante stereomicroscopia e microspettroscopia Raman si sono caratterizzate le microplastiche di dimensioni inferiori ai 10 μm estratte dai muscoli; mentre PET e PC, oltre a pigmenti e agli additivi BPA e PTA sono stati determinati via cromatografia liquida con spettrometria di massa. Alcune di queste sostanze, ampiamente utilizzate per la produzione di beni di plastica di largo consumo, sono da tempo sotto osservazione per valutarne gli effetti sulla salute (per esempio, il BPA è considerato un interferente endocrino).

I risultati

La quantità di MP (dimensioni 1.2-10 μm) nei campioni analizzati era compresa fra 140 e 270 per chilogrammo nel pesce spada e da 160 a 270 nel tonno. Il polimero più rappresentato era il polipropilene nel pesce spada (33%) e nel tonno (34,7%), mentre i pigmenti più riscontrati sono stati PB115, PB116, PBr101/102. BPA è stato rilevato unicamente in un campione di ciascuna specie, mentre PC è stato trovato in 8 campioni; in tutti e 10 i campioni sono stati rilevati PTA e PET. Dall’analisi dei dati le due specie presentavano una contaminazione simile in termini di MP, PET, PC, BPA e PTA. Ma non è stata trovata correlazione fra PET, PC, BPA, PTA e MP. Entrando ancora più nel dettaglio, si è visto che la concentrazione di PET e il suo monomero PTA in entrambe le specie non rivelava alcuna significativa correlazione. Nessuna correlazione anche fra BPA – trovato solo in un campione per specie – e il suo polimero di provenienza PC, così come fra la concentrazione di BPA e MP.

In sostanza i due pesci presentavano un livello simile di contaminazione da plastica, con differenze invece per quanto concerne la morfologia dei frammenti, i colori, i pigmenti e i polimeri. I dati, conclude lo studio, suggeriscono che una parte dei monomeri trovati all’interno del pesce provenisse da fonti diverse rispetto alle MP presenti nel muscolo - erano cioè plastificanti e plastiche precedentemente decomposti – e che il tonno sia più a contatto con la contaminazione costiera mentre il pesce spada con un tipo di contaminazione d’altura, più dipendente dalla catena trofica. “Il lavoro in questione”, afferma Di Giacinto, “punta a contribuire a una conoscenza più approfondita di queste particolari categorie di inquinanti, sia dal punto di vista dell’estensione del fenomeno, sia applicando nuove metodologie per la loro quantificazione”. “I prossimi passi saranno di valutare quale sia il livello di contaminazione in ulteriori animali acquatici, arrivando a una valutazione dell’effettiva esposizione alla quale sono esposti i consumatori”, ha concluso la ricercatrice.

Francesca De Vecchi
Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

Fonti

DETECTION OF MICROPLASTICS, POLYMERS AND ADDITIVES IN EDIBLE MUSCLE OF SWORDFISH (XIPHIAS GLADIUS) AND BLUEFIN TUNA (THUNNUS THYNNUS) CAUGHT IN THE MEDITERRANEAN SEA. Di Giacinto et al., 2023. Detection of microplastics, polymers and additives in edible muscle of swordfish (Xiphias gladius) and bluefin tuna (Thunnus thynnus) caught in the Mediterranean Sea. Journal of Sea Research, 192, p.102359. https://doi.org/10.1016/j.seares.2023.102359

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