In Cina gli allevamenti iperintensivi verticali sono in forte espansione. Gli smart farming sono pensati come soluzione per la produzione di 55 milioni di tonnellate di carne suina, ma molti sono i dubbi sui rischi che derivano ad esempio dagli smaltimenti dei residui organici alla più facile diffusione di agenti patogeni.

Si tratta spesso di palazzoni alti anche oltre 20 piani, non molto diversi esteriormente dagli analoghi spazi abitativi delle persone, ma in realtà ospitano milioni di maiali destinati al macello. Ne ha parlato diffusamente sul quotidiano Domani, Michelangelo Cocco, analista del Centro Studi sulla Cina Contemporanea che ha raccontato di questa tecnica definita smart farming, in cui gran parte dell’attività viene monitorata da “colletti bianchi” davanti al pc, senza alcun contatto diretto con gli animali. Da lì comandano i 30mila dispensatori di mangime, controllano la ventilazione dei locali e monitorano la temperatura dei maiali tramite termo scanner.

L’idea dello sviluppo verticale non stupisce se si pensa al bisogno dei cinesi di ridurre l’apporto di cibo dall’estero (si stima che attualmente il paese asiatico importi 146 milioni di tonnellate di cibo, soprattutto dagli Stati Uniti), la necessità di sfamare 1 miliardo e 400 milioni di persone, ossia ben un quinto della popolazione mondiale, avendo però a disposizione solo il 9% della superfice coltivabile mondiale.
I maiali sono di gran lunga la carne più consumata dai cinesi, Cocco parla di circa il 60/70% di tutta la carne consumata dai cinesi, tradotto in una cifra impressionante si tratta di quasi 700 milioni di animali, la metà della popolazione suina globale.
Per dare un’idea di quello di cui stiamo parlando, Cocco cita alcune delle principali compagnie attive nella costruzione di questi grattacieli, tra cui ad esempio la Muyuan, che in una sola contea nella regione dello Henan, ha costruito il complesso di questo tipo più grande al mondo: ben 21 palazzi per 2,1 milioni di animali.

La scelta di industrializzare il settore e di produrre più carne in meno spazio pone non poche sfide. In primo luogo, per soddisfare il bisogno nutrizionale di questi animali, già oggi la Cina importa 100 milioni di tonnellate soprattutto di soia da Usa e Sud America con relativo impatto sulla deforestazione nella foresta amazzonica. Ma questo è solo un aspetto, soluzioni vanno trovate anche per la gestione dello smaltimento delle feci e del pericolo di epidemie.
Sulle pagine di Domani il professor Zhang Shuai della China Agricultural University raccomanda attenzione sui rischi di questo genere di allevamenti iperintensivi, ad esempio, appunto, sulle difficoltà, di smaltire le feci di questi animali senza il necessario terreno. C’è poi il rischio della facilità di diffusione di agenti patogeni in spazi di questo tipo, nonostante i sofisticati sistemi di ventilazione.
Viene citato anche il parere di Dirk Pfeiffer, epidemiologo dell’Università di Hong Kong, che sottolinea come “creare un allevamento di suini non sia la stessa cosa che creare una fabbrica che produce componenti per iPhone, poiché i maiali sono in grado di trasmettere agenti patogeni infettivi e amplificarne la prevalenza. Inoltre, l’aumento della densità dei suini, e quindi la maggiore opportunità di trasmissione, aumenta le possibilità di mutazione di questi agenti in varietà più patogene”.

 

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