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A casa e fuori casa i surgelati fanno parte delle abitudini alimentari degli italiani. Un mercato con un valore che, all’ultima rilevazione, oscillava fra i 4,4 e 4,7 miliardi di euro, buona parte proveniente dalle vendite nel Retail (68,5%). Ben 9 italiani su 10 dichiarano di utilizzare in cucina prodotti e ingredienti surgelati.

Si vedrà, dai dati della prossima survey, se questi numeri saranno confermati, ma non c’è dubbio che pur trattandosi di un bilancio relativo a un anno che ha inciso profondamente sui comportamenti degli italiani, sia stata una conferma di un trend che dura da un po’. 

I prodotti freschi sono più nutrienti di quelli surgelati?

“Nel 2020, in fase di pandemia, gli italiani hanno fatto ricorso massiccio ai surgelati. La maggiore consuetudine domestica con i frozen food”, spiega Giorgio Donegani, Presidente IIAS, “ha rafforzato la già positiva relazione di fiducia verso questi prodotti, legata in primis al riconoscimento della loro alta qualità”. 

Da un punto di vista nutrizionale, anche grazie alle tecnologie di produzione, per i prodotti surgelati sono sempre più consistenti i dati positivi. “Pensare che i prodotti vegetali freschi siano più sani e nutrienti di quelli surgelati è errato. Un recente studio ha dimostrato che frutta e ortaggi surgelati sono, in molti casi, più nutrienti dei freschi”, spiega Elisabetta Bernardi, docente di Dietetica e nutrizione all’Università di Bari. Lo dimostrerebbero i risultati di uno studio[1] in cui è stato misurato per oltre due anni, il contenuto nutrizionale di tre tipi di prodotti: “freschi”, “surgelati” e “freschi ma a cinque giorni dalla raccolta”; broccoli, cavolfiori, fagiolini, piselli, spinaci, mirtilli e fragole surgelate avevano un contenuto di vitamina C, beta carotene e folati maggiore rispetto ai freschi conservati per qualche giorno. “Pertanto, mentre i prodotti freschi ‘appena colti’ contengono sicuramente le più alte quantità di sostanze nutritive in assoluto, una volta a casa vincono invece i surgelati”, riferisce Bernardi, sulla base dell’esito dello studio. 

Sembrano diversi quindi i punti di forza che vengono riconosciuti ai surgelati: consentono di superare la stagionalità/disponibilità dei prodotti freschi (37%); aiutano a combattere gli sprechi alimentari (36%); sono sicuri e tracciabili (21%); hanno la stessa qualità dei prodotti freschi (19%) e sono sempre disponibili a casa (43%), permettendo di risparmiare tempo (37%). 

Con l’evoluzione dei consumi i surgelati hanno guadagnato e consolidato una buona reputazione “per le caratteristiche di versatilità, bontà e praticità che offrono ai millennials, e non solo a loro, sia in tempi normali e quotidiani sia in tempi di crisi”, riassume Mauro Ferraresi, sociologo e studioso di consumi e comunicazione.

I surgelati nella ristorazione

È favorevole anche la predisposizione dei consumatori verso l’uso di prodotti surgelati al ristorante, una scelta che trova d’accordo anche gli operatori. Sono usati infatti nelle cucine degli chef e nella ristorazione in generale e circa 7 italiani su 10 non sembrano avere problemi nel scegliere al ristorante piatti contenenti surgelati. 

Superato l’ostacolo della diffidenza, il settore si è intestato una battaglia che vuole, anche formalmente, scardinare gli ultimi pregiudizi che hanno accompagnato i prodotti industriali surgelati per tanti anni. Il dito è puntato sul segno grafico, l’asterisco, che viene apposto sui menu per segnalare la presenza di questi prodotti. IIAS ha presentato lo scorso novembre i dati di una survey BVA-DOXA in cui “quell’‘asterisco’ riportato nei menu della ristorazione per contraddistinguere gli alimenti surgelati dai prodotti freschi, appare al consumatore come niente più che un simbolo”. Così lo considera il 64% degli intervistati, a cui si aggiunge un 5% che lo ritiene inutile. 

Le voci a sostegno sono diverse. “Alimentarsi correttamente significa curarsi e la battaglia dell’asterisco portata avanti da Federcuochi si inserisce benissimo in questo contesto”, afferma Alessandro Circiello, portavoce della Federazione Italiana Cuochi (FIC).

L'asterisco è un obbligo di legge?

L’asterisco, introdotto oltre quarant’anni fa su orientamento giurisprudenziale, non è previsto un obbligo di legge. Dice Roberto Calugi, Direttore Generale FIPE, La Federazione Italiana Pubblici Esercizi: “se per la normativa amministrativa (per altro di derivazione europea) non è necessario indicare con un asterisco ogni piatto trattato con prodotti sottozero, per la giurisprudenza penale italiana è obbligatorio farlo per ogni singolo piatto, pena una condanna che prevede una reclusione fino a due anni o la multa fino a duemila e sessantacinque euro. Una confusione che complica la vita agli operatori del mercato e che, è bene sottolinearlo, è decisamente più dannosa delle regole stesse, aprendo il fronte a diverse possibili interpretazioni senza poter avere la certezza di aver operato nel rispetto delle norme”.

“Un consolidato orientamento della giurisprudenza penale”, spiega Cinzia Catrini, avvocato cassazionista esperta in diritto alimentare, “ha più volte ribadito che l’omessa indicazione di prodotto congelato è suscettibile di rientrare nel reato di frode in commercio o tentata frode in commercio”. Sono numerose le sentenze che si possono citare a riprova.” 

Da dove nasce allora la consuetudine dell’asterisco apposto accanto al piatto, con un rimando alla fine del menù a una legenda per spiegarne il significato? La posizione della giurisprudenza italiana parte dal principio della corretta informazione che il consumatore vuole avere nel momento di un acquisto alimentare e del fatto che deve poter essere messo in condizione di ottenerla. “Su questo”, commenta in un report presentato lo scorso anno da IIAS, “si innesta da un lato il ragionamento secondo cui il consumatore medio avrebbe una aspettativa presunta per la quale le pietanze somministrate in un ristorante sarebbero il risultato di ingredienti esclusivamente freschi; dall’altro (e di conseguenza) che un prodotto congelato/surgelato presenterebbe caratteristiche nutrizionali e organolettiche non solo diverse, ma inferiori rispetto al prodotto fresco. Assunto che più voci si sono levate per confutare”. “Va detto”, fa notare IIAS, “che le argomentazioni della Corte di Cassazione non si riferiscono alla sicurezza igienico-sanitaria dell’alimento, in quanto l’eventuale omissione di un’informazione sulla sua surgelazione non può rappresentare una potenziale compromissione della salute”.

Le nuove tecnologie impongono un cambiamento

Resta il fatto che vige ancora un’applicazione normativa frutto di un’interpretazione anacronistica alla luce della tecnologia produttiva attuale. Un problema che non riguarda solo i prodotti surgelati ma tutti quelli in qualche modo sottoposti a temperature bassissime per diversi motivi. L’asterisco infatti “viene utilizzato per indicare i prodotti surgelati, quelli congelati e il pesce ‘abbattuto’ per ottemperare agli obblighi della legislazione sanitaria”, riassume Agostino Macrì, responsabile sicurezza alimentare UNC – Unione Nazionale Consumatori. 

L’abbattimento (-20° C, per almeno 24 ore; oppure -35°C, per almeno 15 ore) è un procedimento sanitario imposto dal Reg. (CE) 852/2004 per il pesce da consumarsi crudo ai fini della prevenzione delle patologie dovute alla presenza dell’anisakis e sebbene il legislatore ne riconosca l’efficacia non lo distingue dalla surgelazione industriale, generando ulteriore confusione fra i concetti di congelato e surgelato. 

Di fronte a questi dati IAAS propone un cambio di prospettiva, ragionando se non sia invece più utile riconoscere la bontà del trattamento con il freddo a basse temperature come garante della qualità dell’alimento anziché operare un ulteriore distinguo tra prodotti surgelati/congelati in origine e prodotti abbattuti dai ristoratori in ottemperanza agli obblighi sanitari. 

“Chiediamo di togliere l’asterisco accanto ai surgelati dei menu ristorativi”, dice ancora Circiello, “poiché crea diffidenza o addirittura rifiuto da parte dei clienti. I prodotti surgelati sono assolutamente sicuri, mantengono tutte le proprietà nutrizionali e soprattutto concorrono in modo fondamentale a evitare lo spreco alimentare”. E anche il consumatore sembra saperlo perché “ha conoscenze, esperienze e un accesso alle informazioni talmente rafforzate, che non ha bisogno di un asterisco protettivo per garantirlo nei suoi consumi”, conclude Calugi, “sui quali ha altri parametri più affidabili per valutare qualità e sicurezza alimentare nelle sue scelte”.

 

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