728x180

L’impronta ambientale misura quanta superficie in termini di terra e acqua la popolazione umana necessita per produrre, con la tecnologia disponibile, le risorse che consuma. Un quarto dell’impronta della produzione alimentare è rappresentato dallo spazio necessario per l’allevamento di bovini e la produzione di latticini.

Le impronte ambientali servono a stimare l’impatto che un alimento ha su una o più componenti ambientali durante il suo ciclo di vita, dall’utilizzo di risorse e materie prime alla produzione, il consumo e lo smaltimento a fine vita. La norma UNI EN ISO 14040:2006 “Gestione ambientale - Valutazione del ciclo di vita - Principi e quadro di riferimento” descrive i principi e il quadro di riferimento per la valutazione del ciclo di vita (LCA - Life Cycle Assessment). La struttura di LCA è suddivisa in quattro momenti principali: definizione degli obiettivi e del campo di applicazione dello studio; analisi d’inventario (LCI), ovvero la raccolta di dati e le procedure di calcolo per quantificare i flussi in entrata e in uscita rilevanti di un sistema di prodotto; la valutazione della portata degli impatti (LCIA); l’interpretazione, ossia l’identificazione, la qualifica, la verifica e la valutazione dei risultati delle fasi di inventario e di valutazione degli impatti, al fine di trarre conclusioni e raccomandazioni. I cambiamenti climatici stanno influenzando notevolmente l’LCA dei prodotti alimentari, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze dell’effetto serra e la carenza di risorse idriche. 

Carbon Footprint

L’effetto serra è la causa principale del riscaldamento globale del pianeta ed è dovuto alla presenza in atmosfera di gas quali anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossidi di azoto (NOx) e ozono (O3). A preoccupare, in particolare, è l’emissione di CO2 dovuta alla combustione di combustibili utilizzati per le diverse attività, come il riscaldamento, la produzione di energia, il funzionamento di impianti industriali etc. La carbon footprint, l’impronta di carbonio, rappresenta il quantitativo di CO2 equivalente dovuto al totale delle emissioni di gas a effetto serra associate direttamente o indirettamente a un prodotto, un’organizzazione o un servizio. La comunità internazionale iniziò a preoccuparsi di questioni climatiche e delle immissioni di gas serra nell’atmosfera nel 1992 nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo di Rio de Janeiro, e in seguito nella Conferenza di Kyoto del 1997, con il famoso Protocollo di Kyoto che prevedeva una significativa riduzione delle emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati.

Nel corso degli anni sono state emanate diverse norme tecniche sui gas serra e la misurazione della carbon footprint. La norma tecnica standard UNI EN ISO 14064 “Gas a effetto serra” è suddivisa in tre parti. Parte 1: Specifiche e guida, a livello dell'organizzazione, per la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di gas a effetto serra e della loro rimozione. La norma specifica i principi e i requisiti, al livello dell’organizzazione, per la quantificazione e la rendicontazione delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) e della loro rimozione. Essa include i requisiti per la progettazione, lo sviluppo, la gestione, la rendicontazione e la verifica dell’inventario dei gas a effetto serra di un’organizzazione.

Parte 2: Specifiche e guida, al livello di progetto, per la quantificazione, il monitoraggio e la rendicontazione delle emissioni di gas a effetto serra o dell’aumento della loro rimozione. Comprende i requisiti per pianificare un progetto relativo ai gas a effetto serra, per identificare e selezionare le sorgenti, gli assorbitori e i serbatoi di gas a effetto serra (SSRs) pertinenti al progetto e allo scenario di riferimento, per monitorare, quantificare, documentare e rendicontare le prestazioni dei progetti relativi ai gas a effetto serra e per gestire la qualità dei dati.

Parte 3: Specifiche e guida per la validazione e la verifica delle asserzioni relative ai gas a effetto serra. La norma specifica i principi e i requisiti e fornisce una guida per validare e verificare le asserzioni relative ai gas a effetto serra (GHG).

La norma tecnica standard UNI CEN ISO/TS 14067:2014 “Gas a effetto serra - Impronta climatica dei prodotti (Carbon footprint dei prodotti) - Requisiti e linee guida per la quantificazione e comunicazione” serve a valutare la carbon footprint di un prodotto o servizio. Essa descrive principi, requisiti e linee guida per la quantificazione e comunicazione dell’impronta climatica (carbon footprint) dei prodotti, basandosi sugli standard internazionali relativi alla valutazione del ciclo di vita (UNI EN ISO 14040 e UNI EN ISO 14044) per la quantificazione e sulle etichette e dichiarazioni (UNI EN ISO 14020, UNI EN ISO 14024 e UNI EN ISO 14025) per la comunicazione. Sono anche forniti i requisiti e le linee guida per la quantificazione e comunicazione di una parziale impronta climatica di un prodotto. Grazie a questa norma, le aziende possono identificare le possibilità di riduzione e gestione delle emissioni di gas serra. 

Water Footprint

Ambiente shutterstock 2264793007La carenza di risorse idriche è dovuta non solo alla bassa disponibilità di acqua data dalla diminuzione o assenza delle precipitazioni, ma anche dall’inquinamento delle risorse idriche. Il maggior consumo di acqua è imputabile all’agricoltura e all’industria. La water footprint considera tre tipologie di risorsa idrica: le acque superficiali e sotterranee prelevate; le acque meteoriche, soprattutto in relazione all’uso irriguo; le acque inquinate, stimate come il quantitativo di acqua necessario a diluire gli inquinanti fino al limite previsto. La norma tecnica standard UNI EN ISO 14046 “Gestione ambientale - Impronta Idrica (Water Footprint) - Principi, requisiti e linee guida”, viene utilizzata per stimare la water footprint. Essa specifica principi, requisiti e linee guida relativi alla valutazione dell’Impronta Idrica (Water Footprint) di prodotti, processi e organizzazioni basata sulla valutazione del Ciclo di Vita (LCA). Essa fornisce principi, requisiti e linee guida per la conduzione e la rendicontazione dell’impronta idrica come valutazione a sé stante o come parte di una più completa valutazione ambientale. Sono incluse nella valutazione solamente le emissioni in aria e nel terreno che impattano sulla qualità dell’acqua e non tutte le altre. Il risultato di una valutazione dell’impronta idrica è un valore singolo oppure un profilo dei risultati degli indicatori di impatto. 

L’impronta ambientale

Si tratta di un indicatore che consente di monitorare l’utilizzo delle risorse naturali disponibili sulla Terra e promuovere azioni finalizzate allo sviluppo sostenibile. L’impronta ambientale misura quanta superficie in termini di terra e acqua la popolazione umana necessita per produrre, con la tecnologia disponibile, le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti prodotti. È possibile misurare l’impronta ambientale di un individuo, di una città, di una popolazione, ma anche di una azienda o di un prodotto. Si parla, quindi, di Product Environmental Footprints (PEF) e Organization Environmental Footprints (OEF). L’impronta ambientale di un prodotto (inteso come “bene” o “servizio”, secondo la Norma ISO 14040:2021 sulla metodologia LCA - Life Cycle Assessment) è una misura fondata sulla valutazione delle prestazioni ambientali di un prodotto, analizzate lungo tutto il ciclo di vita, dall’approvvigionamento delle materie prime al fine vita, calcolate al fine di ridurre gli impatti ambientali di tale bene o servizio.
La Commissione Europea ha pubblicato la raccomandazione 2021/2279/UE del 16 dicembre 2021 (che sostituisce la precedente raccomandazione 2013/179/UE del 9 aprile 2013) che definisce un metodo unico europeo per la valutazione e comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti denominato Product Environmental Footprint - PEF. Nell’ambito della Environmental Footprint (EF) pilot phase della Commissione Europea sono state elaborate alcune PEFCR (Product Environmental Footprint Category Rules - regole di categoria relative all’impronta ambientale dei prodotti) ovvero delle regole, basate sul ciclo di vita, specifiche per tipologia di prodotto, che completano il metodo PEF identificando ulteriori requisiti per una data categoria di prodotto. È in corso la transition phase per l’elaborazione di ulteriori PEFCR e l’aggiornamento delle esistenti. 

Made green in Italy

Ambiente shutterstock 2434733881La Legge 221/2015 “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” ha previsto, all’art. 21, l’istituzione dello schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, denominato “Made Green in Italy”, basato sulla metodologia per la determinazione dell’impronta ambientale dei prodotti (PEF). Il “Made Green in Italy” ha l’obiettivo di valorizzare sul mercato i prodotti italiani con buone/ottime prestazioni ambientali (garantite da un sistema robusto scientificamente) e punta con il suo logo a rendere riconoscibili i prodotti per i consumatori, così da incoraggiare scelte più consapevoli. La quantificazione delle prestazioni ambientali di un prodotto, infatti, basata su uno studio PEF completo, verificato e validato da un ente terzo indipendente, prevede tre classi di prestazione: A, valore superiore al benchmark; B, valore prossimo al benchmark; C, valore inferiore al benchmark. Ottengono l’uso del logo solo i prodotti in classe A e quelli in classe B (a fronte di un impegno dell’azienda a migliorare le proprie prestazioni). Lo schema “Made Green in Italy” adotta la metodologia PEF per la determinazione dell’impronta ambientale dei prodotti così come definita nella raccomandazione 2021/2279/UE del 16 dicembre 2021. L’adesione allo schema è limitata ai prodotti Made in Italy che presentano prestazioni ambientali pari o superiori ai benchmark di riferimento per i quali esiste una RCP (Regola di Categoria di Prodotto) in corso di validità. Le RCP sono rilasciate dal Ministero dell’Ambiente e contengono i requisiti necessari alla conduzione di studi PEF per una specifica categoria di prodotto. Lo Schema MGI è l’unica certificazione in grado di coniugare la dimensione delle performance ambientali dei prodotti, in tutta la loro catena del valore, con il “Made in Italy”.

L’impatto degli alimenti

Dati della Commissione europea sui prodotti alimentari dicono che circa il 20-30% del riscaldamento globale del pianeta è imputabile al settore alimentare. A seconda del paese, in UE questa quota si attesta tra il 25% e il 42%. In vista degli impegni presi per lo European Green Deal, che prevede la neutralità climatica entro il 2050, è quindi necessario limitare la capacità inquinante di questo settore. In particolare, la Commissione europea stima in ordine un contributo percentuale maggiore per carni e prodotti a base di carne (12%), prodotti lattiero-caseari (5%), prodotti a base di cereali (1%), frutta e verdure (2%). Lo studio “The environmental footprint of global food production”, coordinato dal National Center for Ecological Analysis & Synthesis (NCEAS) dell’Università di California-Santa Barbara e pubblicato su Nature Sustainability il 24 ottobre 2022, rivela che quasi la metà di tutte le pressioni ambientali dovute alla produzione alimentare proviene da 5 Paesi (India, Cina, Stati Uniti, Brasile e Pakistan), oltre il 90% delle pressioni ambientali dovute alla produzione alimentare terrestre si concentra solo nel 10% della superficie terrestre e circa un quarto dell’impronta cumulativa di tutta la produzione alimentare è rappresentato dallo spazio necessario per l’allevamento di bovini e la produzione di latticini.

Stefania Milanello
Esperta in impianti alimentari e divulgatrice scientifica

Pin It