I dati ufficiali parlano di 362mila immigrati occupati nel settore, pari al 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Il rapporto Made in Immigritaly commissionato dalla Fai-Cisl al centro studi Confronti sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare allarga il campo anche alla parte “invisibile” e sommersa.
Che il lavoro dei migranti abbia un ruolo rilevante nel settore è risaputo. La ricerca della Fai-Cisl cerca di approfondire meglio il peso e il ruolo della manodopera straniera in un comparto così importante per l’economia nazionale. Dall’analisi emerge che i principali Paesi di provenienza restano ancora – nell’ordine – la Romania, il Marocco, l’India, l’Albania e il Senegal. Ma mentre i lavoratori rumeni negli anni diminuiscono, marocchini, indiani e albanesi crescono di qualche migliaio di persone; i senegalesi addirittura raddoppiano.
«Il lavoro degli immigrati nelle filiere dell’agroindustria nazionale rimane in gran parte invisibile – ha detto il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota – ma i dati raccolti dimostrano il carattere essenziale del contributo immigrato al made in Italy». Per questo, sostiene il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, bisogna uscire «dalle banalizzazioni del fenomeno migratorio come invasione, degli immigrati visti solo come soggetti che rubano il lavoro agli italiani: la realtà delle filiere agroalimentari dimostra il ruolo centrale e in molti casi insostituibile del lavoro dei migranti».
«La metà dell’input di lavoro nel settore agroalimentare viene dagli immigrati e spesso non si ha il coraggio di dirlo – ha detto il presidente del Cnel, Renato Brunetta – pensiamo cosa potrebbe essere questo settore se avessimo migrazioni regolate, inserite in percorsi di valorizzazione e processi di trasparenza».
Anche il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ammette il fabbisogno di forza lavoro da parte del settore: «Questo governo – ha detto ieri intervenendo alla presentazione del rapporto Fai – è riuscito ad aumentare le quote di flussi di lavoratori immigrati, in particolare in agricoltura. Ma la formazione è fondamentale: i lavoratori che vogliono venire in Italia devono avere un chiaro percorso per arrivarci e avere condizioni di formazione anche a monte».
Fonte: Il Sole 24 Ore