L’associazione kefir-benessere è già nel significato della parola kefir e nelle sue origini caucasiche, terra di donne e uomini centenari. Il kefir prodotto secondo la logica industriale della qualità mantiene la promessa di benessere implicita nel suo nome?

Difficile a dirsi, perché il microbiota dei tanti kefir oggi sui banchi della GDO ha gradi di complessità molto differenziati e il modo di ottenimento è spesso molto diverso dalla tradizione, quella da cui è originata l’associazione con il benessere. Il modo tradizionale di fare kefir passa per la formazione dei classici granuli grazie alla sintesi di esopolisaccaridi, i kefirani, da parte di alcuni lattobacilli. Nei granuli si realizza l’associazione tra le diverse popolazioni batteriche (lattiche e acetiche, principalmente) e i lieviti, che possono produrre limitate quantità di etanolo. I granuli, una volta separati dalla massa di latte fermentato, diventano lo starter per la successiva produzione, realizzando un ciclo virtuoso. Metodo facile da realizzare in cucina, più complicato in un’industria abituata alla semplicità del fare yogurt che ha imposto il suo metodo di produzione a quasi tutti i latti fermentati: starter selezionato e incubazione in condizioni altamente riproducibili. 

Maggiore è la complessità del microbiota del granulo, minore la sua capacità di adattarsi a una logica industriale di produzione di latte fermentato. In pochissimi kefir disponibili in Italia si ritrovano ad esempio i batteri acetici fra i microrganismi starter. Anche la presenza dei lieviti non è frequente, forse perché l’uso dei lieviti pone la scelta di quali condizioni colturali applicare. Privilegiando le condizioni anaerobie, ottime per i batteri lattici, la via fermentativa di riproduzione dei lieviti rischia di portare a una produzione eccessiva di etanolo. Condizioni aerobie rallentano la velocità della fermentazione lattica, incidendo sulla produttività aziendale, ma sono necessarie per i batteri acetici. 

La presenza dei batteri acetici è necessaria per conferire al kefir le sue proprietà benefiche? Il puzzle è complesso, ma non si ferma qui.

La presenza di frutta fra gli ingredienti e la scelta della texture, da bere o da cucchiaio, induce talvolta l’uso di specie microbiche con funzionalità diverse. Altre volte sono aggiunti batteri probiotici, quali i bifidobatteri, non tipici del kefir tradizionale, non fosse altro perché non si riproducono in latte, ma che implementano la narrazione del benessere. Altre volte ancora generici grani di kefir sono elencati fra gli ingredienti. 

Per il consumatore, tutto questo sarà comunque kefir.

Tutti i tipi di kefir possono davvero offrire un benessere, superiore e diverso da quello apportato dal loro ingrediente base, il latte, o solo alcune formulazioni specifiche? Sarebbe interessante la valutazione di un consensus indipendente. Quando il nome non è tutelato, nemmeno per gli ingredienti chiave, il benessere potrebbe essere principalmente per il produttore…

Germano Mucchetti 
Professore ordinario di Scienze e tecnologie alimentari

 

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