Nel 1860 – all’Unità d’Italia – i caseifici erano più di un milione! I produttori di latte producevano il proprio formaggio e il burro, come e dove potevano: nelle capanne, a fianco delle stalle, spesso nelle cucine di famiglia. Le produzioni erano consumate in proprio e il commercio, quando possibile, avveniva principalmente in sede locale.

Nel 1937 – dopo 77 anni – il censimento industriale registrava 670.000 esercizi pseudo-industriali che trasformavano 2.880.000 tonnellate di latte, circa l’80% del totale; mentre il commercio avveniva principalmente in sede nazionale e l’esportazione – tra le due guerre mondiali – interessava 20-30.000 tonnellate di formaggi.

Nel 2020 – dopo 160 anni – i caseifici in attività erano ancora stimati oltre le 3.000 unità (300 dei quali trasformavano circa il 90% del latte), e si pensava raccogliessero circa 12.500.000 tonnellate di latte per produrre 1.300.000 ton. di formaggio, delle quali 600.000 destinate all’esportazione.

Oltre alla chiara e forte capacità di esportazione delle specialità casearie, emerge una situazione produttiva a “U” con industrie sempre più grandi da un lato e micro attività vocate alle specialità casearie locali dall’altro.

Si può ripetere, come già in passato, che grande è bello, ma che piccolo è meraviglioso! 

Quindi al netto delle facili battutine, delle potenziali economie di scala, delle insufficienti risorse finanziarie, delle sacrosanti riflessioni sulla competitività nazionale e internazionale, delle sempreverdi domande di specialità casearie; il caseificio medio, in difficoltà a servire la grande GDO, può sempre offrire – ad altri canali distributivi – quelle produzioni che la grande industria (per incidenza delle spese generali, per costi di produzione, per difficoltà e limiti di marketing, promozione e distribuzione) è costretta ad abbandonare. 

In conclusione, da un lato è certamente doveroso proseguire nella direzione delle concentrazioni, però appare anche auspicabile procedere nella valorizzazione delle piccole specialità casearie locali.

Il mercato, con il suo equilibrio, è sempre l’arbitro migliore. Oh, no?

Vincenzo Bozzetti

 
Pin It