Un antico proverbio recita “l’abito non fa il monaco”, ma quando parliamo di cibo e del “vestito” che lo avvolge, ovvero del suo imballo, possiamo dire che una simile affermazione, non è del tutto corretta.

Di fatto, l’uomo da sempre ha dovuto “confezionare” in qualche modo gli alimenti e diverse forme rudimentali di imballaggio si utilizzavano già dall’antichità.

La storia del packaging alimentare è piuttosto lunga e articolata e ha visto la sua trasformazione da un bene unicamente strutturale e strettamente necessario, in un oggetto evoluto in grado di comunicare ed entrare in relazione con il cliente fornendogli tutte le informazioni relative al prodotto e non solo, diventando in qualche caso, ai giorni nostri, anche interattivo.

Il “cibo confezionato” ha segnato la transizione definitiva dal prodotto artigianale a quello industriale, contribuendo all’estensione della shelf-life degli alimenti e rendendo accessibili anche i prodotti non disponibili nelle immediate vicinanze del consumo.

Più precisamente dovremmo parlare di “cibo condizionato”, anziché confezionato, in quanto il condizionamento è parte integrante di qualsiasi processo produttivo alimentare e talvolta diventa l’elemento chiave che consente una migliore distribuzione degli alimenti, prolungandone la shelf life o garantendo a parità di conservabilità il mantenimento di livelli qualitativi superiori.

E se per i lunghi secoli gli strumenti e gli oggetti che si utilizzavano per il contenimento degli alimenti sono rimasti quasi uguali per forma e materiale, i nuovi modi di “vestire il cibo” sono fioriti a pari passo con lo sviluppo industriale, consentendo uno sviluppo enorme delle varietà di confezioni unito a un differente utilizzo di questi nella quotidianità.

Indubbiamente, la prima star moderna del packaging alimentare è stata la scatola metallica, a cura del francese Nicolas Appert e dell’inglese Bryan Donkin che, all’inizio dell’Ottocento scoprirono il metodo giusto proprio per sterilizzare le scatole metalliche di carne e tonno da destinare alla conservazione prolungata dei cibi.

Nel 1855 fu inventato l’apriscatole e nel 1866 le scatole furono dotate di chiave, passi fondamentali per lo sviluppo del prodotto esportato e per l’utilizzo di “alimenti non deperibili” durante le guerre.

Il cibo in scatola ha rappresentato un semplice e pratico “abito” senza tanti fronzoli che ha rivoluzionato e ha cambiato per sempre il nostro rapporto con il cibo in relazione ai due tra i più importanti fattori che determinano le sue qualità, ovvero la stagionalità e la deperibilità, racchiudendo concetti fondamentali di fruibilità e di sicurezza.

Se le conserve hanno avuto il loro impiego massivo durante le guerre (e le operazioni umanitarie), a causa dello sviluppo economico accelerato e delle conseguenti esigenze della globalizzazione del secolo scorso, l’industria del confezionamento alimentare ha perseguito nella ricerca di soluzioni di packaging innovative, che ben presto hanno scoperto le potenzialità della comunicazione veicolata tramite gli ingegnosi strumenti del design.

Uno dei primi e simbolici esempi in questo senso è il doppio imballaggio dei dadi da brodo a base di carne concentrata comparso alla fine degli anni ’40, con l’ideazione di una confezione interna in cartoncino e un packaging esterno in carta e alluminio.

Da allora le cose sono cambiate tantissimo e oggi buona parte dei cibi confezionati sono avvolti in più materiali o in materiali multistrato che devono sostenere la sinergia con il sistema di condizionamento utilizzato, quale ad esempio flowpack, termoretraibile, sottovuoto, atmosfera protettive, skin packaging.

Arriviamo così a uno dei quesiti, secondo me più importanti, che sono alla base delle molteplici problematiche sul packaging alimentare che, per la dimensione del suo impatto ambientale, si trova attualmente ai primi posti della classifica dei settori più inquinanti.

I numeri posizionano il settore dell’imballaggio in Italia come rappresentante del 2% del PIL e il 3,4% del fatturato dell’industria manifatturiera, tenendo conto che la più grossa fetta di questi numeri riguarda il settore food che da sempre è il maggior consumatore di packaging.

Secondo l’Istituto Italiano Imballaggi, i materiali prodotti in Italia nel 2021 hanno raggiunto le 18.189 tonnellate; il fatturato ha superato i 34,7 miliardi di euro (+4,4%) e anche il commercio estero risulta in crescita rispetto all’anno precedente, con un ritmo più frizzante delle importazioni rispetto a quello delle esportazioni: le prime chiudono con un +11,3%, le seconde con un +4,8%.

Come accusato principale e nemico numero uno delle politiche green e di sostenibilità intorno ai quali ormai gira tutto, la plastica è incoronata al primo posto.

Secondo il report “Unwrapped” curato da Zero Waste Europe, la domanda di plastica in Europa ha raggiunto i 49 milioni di tonnellate annue, di cui il 40% utilizzate per il packaging, quasi tutto monouso.

Si stima che il 95% del valore del packaging vada perduto dopo il primo utilizzo e le Nazioni Unite hanno calcolato che il costo globale in termini di capitale naturale per la plastica nell’industria alimentare si aggiri intorno ai 15 miliardi di euro l’anno.

Nello stesso tempo c’è da dire però che grazie allo sviluppo delle moderne tecnologie di packaging alimentare, che ahimè fanno largo uso di materiali di plastica, stiamo assistendo a un notevole ridimensionamento degli sprechi alimentari, in quanto in questo modo si ottengono migliori risultati in termini di prolungamento e sicurezza della shelf life dei cibi.

Nonostante il fatto che esistano ormai diverse tecnologie con materiali che non prevedono o riducono sensibilmente l’utilizzo di polimeri quali polietilene PE, polistirene PS, polietilentereftalato PET, polipropilene PP, attualmente la quasi totalità di alimenti freschi molto deperibili (carne, pesce, salumi, formaggi, prodotti gastronomici, ortaggi e frutta di IV gamma) è confezionata in imballaggi o vaschette di plastica, in quanto essa rappresenta la miglior modalità tecnologica per conservare in sicurezza e a un costo ragionevole i cibi.

Va ricordato il costo delle tecnologie e dei materiali innovativi ecosostenibili, ancora troppo alto per essere sostenuto dai produttori, costretti ad affrontare e combattere l’oscillazione dei prezzi, i costi energetici e quelli delle materie prime che segnano aumenti record.

L’uso dei materiali ecosostenibili nel packaging alimentare rappresenta una delle sfide importanti per l’industria alimentare, che deve bilanciare la necessità di conservare in modo efficace gli alimenti, garantire la sicurezza alimentare e nello stesso tempo tenere conto dell’impatto ambientale.

Ad esempio, gli imballaggi biodegradabili sono compostabili e possono essere disintegrati in un breve periodo di tempo, tuttavia la loro efficacia nella conservazione può essere limitata, poiché il materiale potrebbe degradarsi troppo velocemente.

Gli imballaggi riciclabili, d’altra parte, possono essere smaltiti nel sistema di riciclaggio esistente e utilizzati per produrre nuovi imballaggi o altri prodotti, ma la loro efficienza nella conservazione degli alimenti dipende dal tipo di materiale utilizzato.

Inoltre, gli imballaggi attivi possono contenere sostanze come l’ossigeno assorbente o i composti antimicrobici per prolungare la shelf life degli alimenti o mantenerne più a lungo la freschezza, ma è importante assicurarsi che queste sostanze non siano dannose per la salute umana.

Non possiamo altresì trascurare i segnali d’allarme che richiamano l’attenzione sulla sostenibilità delle tecnologie stesse e dei processi impiegati e necessari per produrre imballaggi che si, diventano ecologici, ma le risorse impiegate per la loro realizzazione possono produrre effetti negativi di gran lunga superiori per l’ambiente.

In questo senso il quadro della situazione diventa ancora più complesso se consideriamo il fatto che il cosiddetto effetto matrioska del “food over packaging” rimane un fenomeno largamente diffuso e criticato, ma se vogliamo essere intellettualmente onesti, dobbiamo ammettere che questo approccio è intrinsecamente collegato e funzionale all’intera “food supply chain”, dalla produzione al trasporto sino alla vendita e consumo del prodotto.

Ovviamente ciò non significa che dobbiamo arrenderci davanti alle problematiche attuali: le tendenze recenti indicano che è possibile utilizzare le risorse in modo ancor più efficiente traendone notevoli benefici economici, ambientali e sociali.

Gli obiettivi stringenti e giuridicamente vincolanti della legislazione europea in termini di packaging alimentare che partono dai regolamenti sui MOCA e dell’etichettatura ambientale sino alla recente proposta di modifica della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio offrono gli strumenti di base per lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie e metodi di packaging alimentare e maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse.

Massimo Artorige Giubilesi
Presidente Ordine dei Tecnologi Alimentari
Lombardia e Liguria

 

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