Molti ricordano le Mozzarelle blu che nel 2010 dalla Germania si diffusero anche in Italia. Il responsabile fu identificato in Pseudomonas fluorescens veicolato dall’acqua di processo. Alcuni ricercatori precedentemente avevano indicato 106 ufc di Pseudomonas per g di mozzarella come limite di accettabilità della contaminazione, raggiunto il quale dovrebbe essere considerata finita la durata di conservazione.
Tale valore non basso è per altro 100 volte inferiore a quel 108 indicato come soglia di accettabilità del lotto di prodotti a base di latte da altri studiosi attivi in campo veterinario che affrontarono l’argomento nel 2011.
Nel 2024 credo che gli obiettivi potrebbero essere più ambiziosi.
La presenza di Pseudomonas nelle acque di processo e sulla mozzarella in liquido di governo continua a essere rilevata, ma la pigmentazione è oggi fenomeno più raro.
Pseudomonas non è ritenuto essere un pericolo significativo per la sicurezza alimentare, ma il rilievo economico della crisi del 2010 ha fatto crescere l’attenzione dei caseifici. Con essa, anche quella della ricerca.
Sono molte le ipotesi di soluzione rimaste per il momento a livello di studio: il trattamento della Mozzarella con chitosani, estratti vegetali, imballaggi attivi, colture post-biotiche, irraggiamento con radiazioni UV-C, trattamenti combinati di vapore e ultrasuoni, luce pulsata ad alta intensità e finanche irraggiamento con raggi X. Fra le soluzioni disponibili commercialmente, l’uso di colture protettive o di enzimi, ad es. cellobioso-ossidasi.
Queste diverse ipotesi di soluzione hanno come logica comune l’idea che la contaminazione dell’acqua e/o degli impianti sia inevitabile e con essa la necessità di intervenire sul formaggio.
Quando questa è la sola realtà possibile, ben vengano.
L’eliminazione preventiva di Pseudomonas (e anche di coliformi, Listeria etc) dall’acqua è l’altra via.
Il trattamento termico o la filtrazione con membrana sono tecnologie efficaci ormai consolidate, la cui applicazione può tuttavia essere faccenda complessa, perché richiede investimenti strutturali, disponibilità di spazi e capacità gestionali. La massa di acqua che accompagna la mozzarella dalla filatura alla forchetta è rilevante. Il rassodamento della cagliata filata appena formata con acqua a perdere incide fortemente sui consumi, così come la massa di acqua usata per il risciacquo finale di impianti e linee dopo il lavaggio o la disinfezione. Se tuttavia tale acqua di rete è contaminata, si crea un circolo vizioso tra contaminazione e decontaminazione.
I costi del trattamento fisico dell’acqua diventerebbero inoltre un forte stimolo alla diminuzione dei consumi idrici, favorendone recupero e riutilizzo sicuri.
È preferibile la protezione o la prevenzione? Entrambe le vie possono funzionare, probabilmente con diversi risultati, ma soprattutto una diversa visione del futuro.
Germano Mucchetti
Professore ordinario di Scienze e tecnologie alimentari