Secondo i dati disponibili, l’Italia esporta oltre il 45% del formaggio prodotto: 600.000 tonnellate su un totale di 1.300.000 prodotte. Con formaggi DOP, burrate e mozzarelle in bella evidenza. Ovviamente i dati sono interpretabili in diversi modi e maniere.
Per alcuni è l’arte del saper – e del marchio privato – a fare la differenza, per altri è il territorio – con le DOP a marchio collettivo – il regista del successo. Per i politici invece è il mercato unico dell’Unione europea a favorire il risultato. In vero, una ragione non esclude le altre!
Ragioniamo quindi su alcuni fatti, senza i cori delle tifoserie...
I primi significativi commerci internazionali dei derivati del latte italiani furono successivi alle ondate emigratorie che interessarono complessivamente 19 milioni di italiani, per un totale odierno di 60-80 milioni di oriundi. In proposito il Ministero dell’Interno, tramite AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), a maggio del 2023, registrava circa 6 milioni di connazionali residenti all’estero, di cui l’80% sarebbero residenti in una decina di paesi: Argentina, Germania, Svizzera, Brasile, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Belgio, Spagna e Australia.
Secondo i dati ISTAT, circa l’80% delle esportazioni casearie sono realizzate in 10 Paesi: Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Spagna, Belgio, Svizzera, Olanda, Austria e Lussemburgo.
Considerando che in Argentina, Brasile, Stati Uniti e Australia sono ben presenti produzioni locali con denominazioni italiane, si consolida anche il pensiero che sia lo stile di vita, ovvero la cultura alimentare, a orientare i consumi. In tale realtà trovano ragion d’essere le difficoltà di penetrazione in alcuni grandi mercati potenziali (Cina e India), laddove la cultura alimentare è sostanzialmente diversa dalla nostra e dove la presenza degli italiani è modesta o irrilevante.
Quindi, se oggi anche all’estero si apprezzano burrata e mozzarelle, oltre che un affare, non è anche un grandioso inno al saper fare pasta filata di qualità?
Se oggi anche all’estero si preferiscono piatti di pasta con ottimi formaggi grattugiati con il marchio d’origine collettivo, oltre che un affare, non è anche una solenne corale in onore al territorio?
Se oggi 2/3 delle esportazioni casearie sono realizzate nei paesi aderenti all’Unione europea non è anche un maestoso concerto in onore al mercato unico?
A ben vedere però c’è qualche nuvoletta dubbiosa, non è per caso che i mercati alimentari – oltre a essere indirizzati dal marketing aggressivo – siano anche influenzati dalle ginocchia delle madri?
Vincenzo Bozzetti