Abbiamo chiesto a Valentina Tepedino, veterinaria specializzata nei prodotti ittici, referente SIMeVeP (Società Italiana di medicina Veterinaria Preventiva), dell’Associazione Donne Medico Veterinario e direttrice del periodico Eurofishmarket quali sono le prospettive di crescita del comparto ittico nazionale.
Cosa possiamo dire della qualità del prodotto ittico nel nostro Paese?
Da anni assistiamo ad un miglioramento continuo della qualità igienico sanitaria dei prodotti ittici, in ottica di tutela della salute del consumatore. Nella pesca e nell'acquacoltura però è necessario dare definizioni chiare e condivisibili che definiscano il termine “qualità” anche sotto l’aspetto nutrizionale, sensoriale, di benessere animale, di sostenibilità ambientale.
Di cosa abbiamo bisogno?
Ci vorrebbe una categorizzazione dei concetti di qualità secondo criteri premianti e definiti; un riferimento unico che serva da garanzia, tutelato da Autorità Pubbliche (e non solo da enti terzi privati); che prevenga la concorrenza sleale nel mercato e premi l’attenzione e lo sforzo maggiore di alcuni pescatori e produttori che adottano pratiche e sistemi che danno un valore aggiunto al prodotto. Oggi sono spesso usati marchi di qualità, riconducibili a capitolati tecnici dettagliati, che però riguardano singole aziende e sono difficilmente comprensibili dal consumatore comune. Non c’è poi l’obbligo di indicare il valore nutrizionale sul pesce crudo tal quale ma solo se lavorato con altri ingredienti o trasformato. Parlando infine di indice di sostenibilità ambientale e di impronta di carbonio del processo (sia pescato, sia allevato) va detto che il dichiarato non è spesso adeguatamente verificato.
Come sta reagendo il mercato?
Il mercato si sta auto-regolando. Il consumatore acquista i prodotti ittici per oltre il 70% nella GDO. Anche la ristorazione ha compreso l’importanza di approvvigionarsi di prodotto tracciato da canali sempre più garantiti.
Si torna alla necessità di una normativa che fissi dei riferimenti…
Servono parametri misurabili, controllati non solo da enti privati, ma anche da un organo pubblico di garanzia, per non creare situazioni di concorrenza sleale dove a pagare sono le piccole realtà (e quelle italiane in particolare). Il prodotto a maggior valore aggiunto, oggi, è spesso pagato alla stregua di altri che non lo sono.
Soluzioni?
Lavorare sulla catena del freddo (surgelato) e sulla trasformazione, per garantire ai nostri prodotti l’accesso al mercato durante tutto l’anno. Anche nella logica dell’economia circolare e della sostenibilità. Di fatto nei banchi del surgelato manca una vera linea e un buon assortimento di prodotto nazionale che segua anche gli andamenti di produzione e permetta di non svendere il pescato nei periodi di abbondanza.
Francesca De Vecchi
Tecnologa Alimentare OTALL e divulgatrice scientifica