Il mondo là fuori non smette di correre, più veloce di quanto la nostra amata tradizione possa reggere, e noi, suoi custodi d’eccellenza, rischiamo di diventare come quei castelli di sabbia che lasciamo sulla spiaggia: belli da vedere, ma destinati a scomparire alla prima onda.
Intrappolati in animate discussioni se il basilico del pesto debba essere rigorosamente ligure, startup di mezzo mondo stanno creando alternative vegetali che mimano perfettamente il gusto del formaggio e mentre ci interroghiamo sul disciplinare del Prosecco, laboratori in California hanno sintetizzato molecole che replicano l’aroma dei grandi vini, senza bisogno di un solo acino d’uva.
Non fraintendiamoci, la tradizione è il nostro oro. Ma se non la sposiamo con l’innovazione sostenibile, tra qualche anno ci ritroveremo a vendere cartoline di un’Italia gastronomica che appartiene al passato.
Il cambiamento climatico sta già bussando alle porte dei nostri vigneti e uliveti: pensiamo veramente che basterà negare le innovazioni dal piedistallo “si è fatto sempre così” per salvare il Brunello o l’EVO pugliese? E poi c’è un’altra riflessione da fare: chi saranno i cultori della nostra filiera agroalimentare italiana, ovvero le menti direttive e le braccia operative del domani?
È ora di svegliarci da questo torpore post-vacanziero e affrontare la realtà: o ci reinventiamo, o diventeremo il reperto archeologico della gastronomia mondiale.
È ora di fare i conti con una realtà scomoda: rischiamo di diventare come un formaggio dimenticato in cantina, pregiato ma irrilevante in un mondo che corre.
Mentre ci culliamo nell’eccellenza del Made in Italy, il resto del pianeta sta reinventando il futuro dell’alimentazione. E noi? Siamo ancora qui a discutere se la nonna facesse la pasta meglio della macchina.
Riflettiamo un attimo: quanti di noi, durante le ultime ferie, hanno controllato le previsioni meteo su un’app invece di guardare il cielo? Quanti hanno prenotato un ristorante online invece di fidarsi del passaparola? L’innovazione è già parte della nostra vita quotidiana. Perché dovrebbe essere diverso nel nostro campo professionale?
La sostenibilità non è un trend passeggero come le mode balneari. È la tavola da surf che ci permetterà di cavalcare l’onda del cambiamento invece di esserne travolti.
Immaginiamo le nostre eccellenti verdure, erbe aromatiche, pomodori coltivati con tecniche idroponiche o aeroponiche che usano il 90% di acqua in meno e che non risentono dei cambiamenti climatici, preservando il suolo per le generazioni future? O prosciutti stagionati in celle frigorifere alimentate al 100% da energia solare, riducendo l’impronta carbonica senza comprometterne la qualità merceologica o il profilo sensoriale?
Ma siamo veramente pronti a questa sfida? O preferiamo continuare a sonnecchiare all’ombra dei nostri titoli di studio multidisciplinari come sotto l’ombrellone in spiaggia? La formazione continua non è un fastidioso corso da fare controvoglia per acquisire crediti formativi obbligatori, è la nostra cassetta degli attrezzi per sopravvivere nel futuro. Fantascienza? No, è il minimo che dovremmo fare per restare rilevanti.
Il nostro Ordine, la nostra comunità professionale, deve trasformarsi in un vero e proprio incubatore di innovazione attraverso partnership aggressive con le tech company, programmi di scambio internazionali e ricerche all’avanguardia per reinventare i nostri prodotti tipici.
E sì, forse dobbiamo anche avere il coraggio di rivedere qualche disciplinare secolare, perché il mondo non aspetterà che le nostre eccellenze si adattino al riscaldamento globale. Anche se la burocrazia tiene, anche se non è facile abbandonare la “comfort zone”, dobbiamo darci una mossa.
La visione che dobbiamo avere per il futuro della nostra professione in Italia è ambiziosa ma realizzabile: diventare i protagonisti di una rivoluzione alimentare che metta la sostenibilità al centro, senza perdere di vista la qualità e la sicurezza, il gusto e la tradizione che ci rendono unici al mondo, rappresentando la catena del valore che esprime persone e specialisti qualificati, appassionati e leali.
È una sfida che richiederà creatività, coraggio e impegno costante, ma sono convinto che noi Tecnologi Alimentari italiani abbiamo tutte le carte in regola per guidare questa trasformazione, facendo dell’Italia un modello di innovazione sostenibile nel settore agroalimentare a livello globale, a partire dalle Università che devono formare gli scienziati e i decisori di domani.
Cogliamo questa opportunità per ridefinire il ruolo del Tecnologo Alimentare, da custode della tradizione a vero e proprio architetto di un sistema che sia al contempo innovativo, sostenibile e profondamente radicato nella ricchezza gastronomica del nostro Paese.
È il momento di agire, di innovare, di osare, mantenendo sempre vivo quel legame unico tra cibo, cultura e territorio che rende l’Italia un punto di riferimento mondiale per l’alimentazione di qualità.
Sir Robert Stephenson Smyth Baden-Powell, generale, educatore e scrittore britannico, oltre che fondatore nel 1907 del Movimento mondiale dello Scautismo, amava dire: Quando guardate, guardate lontano, e anche quando credete di star guardando lontano, guardate ancor più lontano!
Massimo Artorige Giubilesi
Presidente Ordine dei Tecnologi Alimentari Lombardia e Liguria