Secondo un report di una nota società di servizi alle imprese, Deloitte, the Conscious consumer, 2021, salute e sostenibilità rappresentano criteri sempre più strategici nelle scelte alimentari dei consumatori. Oggi, infatti, la maggior parte di noi è diventata – teoricamente – più attenta all’impatto dell’alimentazione sulla propria salute, prediligendo cibi più salutari, possibilmente del territorio e preparati a livello domestico.
Tra gli intervistati, la salute è indicata per essere il motivo principale di scelta di un prodotto, rispetto sia al prezzo che alla sostenibilità. Quindi il consumatore sembrerebbe disposto a spendere di più per un prodotto dichiarato più sano e sicuro e, in seconda battuta, per un prodotto maggiormente sostenibile.
Eppure, la letteratura è concorde nell’affermare che la biodiversità del microbiota umano è in forte declino [vedi Sarah Moraïs et al. Cryptic diversity of cellulose-degrading gut bacteria in industrialized humans. Science 383, eadj9223 -2024].
In pratica, nel nostro ecosistema, il cosiddetto olobionte, alcune specie (microbiche) sono a rischio estinzione, a causa del modificarsi delle abitudini alimentari in direzione di una dieta occidentalizzata. Ovvero a causa di scelte alimentari non esattamente sane, bensì comode (più cibi pronti) ed economiche (fast & cheap food).
Il sempre minor frequente consumo di fibra ha portato alla (quasi) scomparsa di specie microbiche la cui presenza contraddistingueva il microbiota intestinale dei primati, degli uomini preistorici e delle civiltà rurali e risulta praticamente assente in quello dei popoli industrializzati.
Tali specie microbiche, che i nostri più recenti antenati avevano probabilmente acquisito dai ruminanti, durante l’addomesticamento, sono in grado di degradare la cellulosa, una componente importante della parete cellulare vegetale, abbondantemente presente nelle diete ricche di alimenti vegetali, e del cui consumo sono noti i benefici.
Si tratta di specie oggi presenti quasi esclusivamente nell’intestino delle popolazioni più povere, caratterizzate da alimentazioni di sussistenza, per lo più composte da fonti vegetali non trasformate, comunque in grado di fornire l’energia necessaria proprio grazie al metabolismo di tali microrganismi.
Grazie anche alla loro dimostrata capacità di adattamento, la reintroduzione o l’arricchimento intenzionale di queste specie nell’intestino umano, attraverso approcci dietetici mirati e probiotici specializzati, potrebbe essere una strategia per migliorare il bilancio energetico e altri aspetti legati alla salute.
A recuperare tali microrganismi dai ruminanti penseranno i microbiologi, le aziende alimentari potranno concentrare gli sforzi nel produrre alimenti più ricchi dei composti in grado di stimolare la crescita di queste utili specie microbiche anche negli intestini dei pingui consumatori dell’ovest. Cibi evoluti per un microbiota che co-evolve con i suoi ospiti.
Benedetta Bottari
Professore Associato Microbiologia degli Alimenti Università degli Studi di Parma