Con l’acronimo IA oggi si identificano le intelligenze artificiali che in vari modi – palesi e occulti e senza regole internazionali condivise – stanno cambiando il mondo. Un cambiamento radicale che viene da molto lontano, quasi un attraversamento di un grande deserto inteso come un labirinto “simbolo naturale della perplessità” (J.L. Borges).
Tra le prime dune si scopre che secondo alcuni autori il primo calcolatore risale a duemila anni fa e venne rinvenuto al largo dell’isola di Anticitera, tra il Peloponneso e Creta, racchiuso in una scatoletta in rame. Con il suo complesso meccanismo computava il moto dei pianeti attorno al Sole.
Su altre collinette sabbiose appaiono macchinari umanoidi costruiti nel 1206 con legni e pistoni dal matematico e ingegnere Al-Jazari (nato e vissuto a nord della Mesopotamia), programmati per deliziare con le loro musiche le nobiltà arabe del tempo.
Tra i recenti padri dell’informatica sono riconosciuti: l’inglese A.M. Turing inventore della macchina “Bombe” per decifrare i codici tedeschi di Enigma nel 1939-1940; gli statunitensi J. Bardeen, W. Brattain e W. Shockley, ricercatori dei Bell Laboratories e inventori dei transistors tra il 1947-1948. E non a caso, negli stessi laboratori C. Shannon costruì, nel 1952, il topo robotico “Theseu”, programmato per raggiungere il simbolico pezzo di formaggio nell’intricato labirinto.
Sorvolando invece sulle generalità dei contemporanei genitori di Narrow e General AI, Deep Blue, Google Maps, Chatbot, ChatGPT, Nvidia, probabilmente ci siamo avvicinati all’uscita del deserto e allora, non senza perplessità, ci chiediamo: cosa ci possiamo attendere dalla IA nel comparto agroalimentare?
Certamente auspichiamo una leale elaborazione dei migliori dati disponibili e delle conoscenze positive globali per favorire uno sviluppo equo, etico e culturale dell’intera umanità in un contesto pacifico di convivenza sociale. Appare quindi inderogabile il mantenimento del controllo dell’uomo sulla macchina, escludendo a priori di surrogare il potere decisionale umano, se vogliamo tutelare la sopravvivenza dell’umanità stessa, quindi dell’intero servizio agroalimentare.