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Adulterazione alimentare? Sofisticazione, contraffazione o alterazione? Nel comparto alimentare spesso si parla o si scrive di adulterazioni, sofisticazioni, contraffazioni e alterazioni, come se i termini fossero sinonimi.

Accade per leggerezza, talvolta per ignoranza, ma anche per enfatizzare certi fatti o attenuarne altri. Fatto sta che le quattro parole – ogni tanto – sono utilizzate con eccessiva disinvoltura.

Senza ricorrere alla filologia potremmo ricordare che per “adulterazione alimentare” s’intende l’operazione e il fatto di adulterare gli alimenti, tramite l’aggiunta di sostanze estranee alla loro normale composizione, allo scopo di mitigare o nascondere difetti, migliorarne artificialmente i caratteri organolettici e la conservabilità o aumentare il peso o il volume (per esempio: l’aggiunta di alcol metilico al vino). L’adulterazione alimentare comprende anche l’eliminazione di uno o più costituenti essenziali.

Per contro la “sofisticazione alimentare” comprende le modificazioni e le alterazioni intenzionali delle caratteristiche chimiche o fisiche e microbiologiche di un prodotto alimentare (allo stato naturale o anche dopo il processo) tramite parziale sottrazione di un componente pregiato (per esempio: la sottrazione del grasso al latte) o mediante aggiunta di una sostanza meno pregiata (per esempio: l’acqua al latte e al vino, o proteine di poco pregio al latte da coagulare). La sofisticazione alimentare comprende anche l’aggiunta di prodotti estranei (per esempio: olio di semi all’olio di oliva, coloranti sintetici per rinforzare deboli tonalità percepite). Praticata per ricavare un illecito profitto, per migliorare e aumentare la sua conservabilità, sotto il profilo giuridico si tratta di sofisticazione alimentare solo se la sostanza aggiunta non risponde, per qualità e per quantità, alla vigente legislazione.

La sofisticazione alimentare si differenzia dalla “contraffazione alimentare”, perché quest’ultima interessa il prodotto nella sua totalità (per esempio: margarina venduta come burro).

Per ultimo ma non ultimo, l’“alterazione alimentare” che si configura qualora avvenga un processo naturale (per esempio: l’irrancidimento dei grassi, l’acidificazione dei prodotti fermentescibili) o per negligenza. In ogni caso va tenuta ben separata, e nemmeno confusa, dall’adulterazione alimentare, che invece resta legata ai criteri di pericolo per la pubblica salute.

Termini delicati non proprio sinonimi, né tantomeno contrari. Certamente da usare con accortezza. Siete d’accordo?

Vincenzo Bozzetti

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